Cataclisma Google
diLIDIA LOMBARDI «Il nostro obiettivo è cambiare il mondo». Eric Schmidt, chief executive di Google, lo disse come una bazzecola a Ken Auletta, definito negli States «il più accreditato conoscitore dei media». A lobotomizzare la chiave che permette di aprire la Rete - Google appunto, il motore di ricerca inventato undici anni fa in un garage da due ragazzi - Auletta ci ha messo due anni. Dati, articoli, ricognizioni, interviste, retroscena, incontri al vertice (come quello con Schmidt) riversati ora in un libro: «Effetto Google, la fine del mondo come lo conosciamo». Dovremmo leggerlo tutti, perché Google è il pane che mangiamo quotidianamente e sapere che cosa c'è dentro, se ci avvelenerà piano piano, è fondamentale. Cambiare il mondo che cosa significa? Che Google rivoluziona l'uomo e la sua mente. Annulla il privato, cambia i media, orienta la conoscenza. Potrebbe portarci a una nuova dittatura, poiché i risultati che compaiono sul computer a una nostra domanda sono certi e non altri. A seconda di come s'intrecciano gli algoritmi sviscerati dagli ingegneri informatici che operano nella grande macchina delle informazioni che è Mountain View, in California, la sede di Google. In un recente convegno universitario a Roma un matematico rifletteva sullo slogan che ci compare davanti appena cominciamo una ricerca in Rete: «Mi sento fortunato». Già, trovare in mezzo secondo quello che ci domandiamo ci dà la sensazione di essere più liberi, in qualche caso onnipotenti. Ma quello stesso matematico avvertiva: «Sono i numeri che ci danno la risposta. È una regia precisa che ci guida. Se riuscissimo a dare a quei numeri un'altra sequenza, ci si squadernerebbe di fronte una differente realtà». Osserva Auletta che, in effetti, noi non cerchiamo informazioni. Piuttosto «andiamo su Google». Lo fa il 70 per cento degli internauti di tutto il mondo, coinvolgendo Youtube, consociata di Google. Un colosso interplanetario, quello inventato da Larri Page e Sergey Brin, i due studenti del garage. I ricavi pubblicitari - oltre 20 milioni di dollari l'anno - rappresentano il 40 per cento degli investimenti pubblicitari effettuati su internet. Google li reinveste in migliaia di siti web. Ci permette così di leggere articoli con Google News, che aggrega 25 mila nuovi siti al giorno. Sta cercando di inglobare tutti i libri mai pubblicati. Rilancia musica, film, trasmissioni tv. Potrebbe diventare un'azienda mediatica da cento miliardi di dollari, fatturato doppio a quello di Disney. Fa paura questo Grande Fratello di orwelliana memoria? Agli americani no, non ancora, testimonia Auletta. Il motto «don't be evil», non fare del male, rassicura e il suo brand «è fra quelli che riscuotono più fiducia nel mondo». Ma il pianeta dell'informazione, i giornali soprattutto, si sono cominciati a sentire minacciati già undici anni fa. È per questo che Enrico Pedemonte, giornalista, in un altro libro Garzanti uscito in contemporanea con quello di Auletta - «Morte e resurrezione dei giornali: chi li uccide, chi li salverà» - si chiede se «è possibile sognare un diverso sistema dell'informazione ora che Internet sta cambiando le regole del gioco». La via d'uscita, indica, è l'«ipergiornale». Quello cioè «nel quale la partecipazione dei lettori (che sono anche cittadini) diventa un ingrediente fondamentale». Se stramazza la carta stampata, vince il Grande Fratello. Non ci sarà informazione capace di essere «cane da guardia del potere». Diventerà impossibile formare un'opinione pubblica competente e attiva. Quarto potere è puntello della democrazia. Con buona pace degli ingegneri di Google che si chiedono: «Perché dobbiamo fare le cose come si sono sempre fatte?».