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La stagione dell'Orto Botanico

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diLIDIA LOMBARDI Andateci ora che l'autunno incalza, le ombre lunghe del tramonto arrivano presto e la città gorgoglia per il traffico che già impazzisce sentendo le feste natalizie. Andateci ora, controcorrente. Non ci sono, è vero, le corolle impazzite di colori, come a primavera. Ma c'è un'atmosfera rarefatta, ferma nello spazio e nel tempo. Un'aura romantica di rimpianto per l'estate ormai fuggita e che pure riappare nei giorni tiepidi di San Martino. L'Orto Botanico di Roma, il più bel giardino barocco, ci piace visitarlo a novembre, quando esala gli ultimi profumi della bella stagione, i petali aranciati delle rose sembrano un miracolo che dura poco, le foglie degli alberi sono una tavolozza scatenata come quella dei fiori estivi, ma intriga di più, perché è tremula e morbida. E i verdi delle palme, dei cedri, delle felci hanno, dannunzianamente, tutti una sfumatura e tutti un suono, a seconda degli uccelli che vi si posano. L'Orto botanico è un museo. Di specie vegetali. E come tale è branca del Dipartimento di Biologia dell'Università La Sapienza di Roma che s'incarica di assicurare la conservazione degli esemplari cresciuti all'aperto o in serra. Ma è anche un museo all'aperto della città di Roma, perché ha alle spalle una storia lunga, partita dal tempo degli antichi romani, proseguita con il fasto dei Papi. Così ci trovi, tra le piante, resti di frontoni o di colonne, marmi scolpiti, scale rococò, scenografiche fontane. Già la fetta della città che lo ospita racconta mille facce della capitale. A Largo Cristina di Svezia, dove si apre il cancello d'ingresso, si arriva lasciando il lungotevere dopo Castel Sant'Angelo e l'Ospedale Santo Spirito e percorrendo via della Lungara, un serpente dritto e lungo sotto il Gianicolo e con lo sfondo di Porta Settimiana, la più medievale di quelle che sfondano le Mura Aureliane. Ecco via delle Mantellate, a ridosso del carcere di Regina Coeli. E pensi a quella canzone dolce e triste che dice: «Le mantellate so' delle suore, a Roma so' sortanto celle scure...». Poi trovi una targa dedicata all'ugola trasteverina per eccellenza, Claudio Villa. Ricorda che il Reuccio «ha espresso con il canto l'anima romana e nacque nel 1926 in questa strada, al numero civico 25». Ancora qualche passo ed ecco la Farnesina, il palazzo affrescato da Raffaello e Sebastiano del Piombo, sede dell'Accademia dei Lincei. E, di fronte, il palazzo che ospita la Galleria Corsini, dipinti di grandi del Rinascimento e del Seicento. Ecco, l'Orto Botanico è incastonato qui, un tempo giardino dei blasonati palazzi, ora parco e collezione di piante insieme. All'epoca dell'Urbs era l'ager vaticanus, poi Settimio Severo vi costruì le proprie terme. Nel XIII secolo i papi cominciarono a coltivare specie arboree e vegetali usate per curare i malanni ma solo nel 1883 l'Orto Botanico fu trasferito nel giardino di Villa Corsini alla Lungara. Le piante medicinali le ritroviamo nel suggestivo Orto dei Semplici. Ecco le ultime, profumatissime foglie di basilico, ecco i peperoncini del Sud America, ecco la tossica cicuta, ecco l'antiasmatica Epheda. Il viale delle palme è una teoria di enormi fusti che il micidiale punteruolo rosso non ha intaccato. E nel bosco sotto allo scalone monumentale di Ferdinando Fuga trovi due enormi alberi di parrozia persica con le foglie che svariano dal rosso al giallo e al rosa. Gli altri colori che sfidano l'autunno sono il viola della lavanda, il vermiglio dei frutti di rosa canina e del corbezzolo, l'azzurro e il giallo delle bacche del mirto e del solanum. Il giardino giapponese ha il rigoglio del viburno e tutto il parco è punteggiato di boschetti di bambù. Siamo sul punto più alto, proprio sotto il Gianicolo. Il panorama squaderna le cime attorno alla Capitale: il Soratte, i monti Prenestini e Tiburtini, i Colli Albani, il Terminillo. A ridosso della veranda di Villa Corsini resistono ancora i fiori dell'agave e i fichi d'India. Tre mesi di solleone li hanno resi paonazzi. L'estate di San Martino riesce a conservarli.

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