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Tea party

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diGIORGIO DEMETRIO Sarebbe segno di provincialismo affermare che anche l'allergia verso i partiti tradizionali è più "charming" nella terra dello Zio Sam che in Italia; ma è un fatto che nel Bel Paese chi ne ha le tasche piene si orienti verso demagoghi alla Grillo, e che negli States, al contrario, quanti appenderebbero Obama a testa in giù non perdano tempo a imbrattarsi di viola e provino a far crollare l'illusione democratica guidati dagli stessi principi di Barry Goldwater (lo sfidante repubblicano di Lyndon Johnson alle presidenziali del '64) e Ronald Reagan; o perfino dei baldi "anarchici" che nel 1773 affondarono 45 tonnellate di tè in segno di protesta contro l'oppressione fiscale della corona britannica. Con ciò, di fatto, plasmando i comandamenti di cui si sarebbe nutrito il conservatorismo americano: governo limitato, fisco non rapace, libertà responsabile. Alla clamorosa ribellione dei "Sons of liberty", passata alla storia con il nome di "Boston Tea Party", si ispirano oggi i più determinati detrattori di Barack Hussein Obama e di un partito repubblicano che non vorrebbero mai più rappresentato da "liberal" alla McCain. Il fatto nuovo della politica americana di questi mesi è appunto il "Tea Party movement", innervato da cenacoli spontanei di liberisti, pro-life e libertari spuntati nel paese a partire dal febbraio 2009. Intenzionati a "prendersi" il partito repubblicano, "conservatorizzandolo" come riuscì ai loro predecessori nelle stagioni di Goldwater e Reagan o, in caso di refrattarietà del vertice del Grand Old Party, "svuotandolo" per tentare l'impresa di costruire una terza forza che scardinerebbe il bipartitismo e ferirebbe le speranze elettorali dei repubblicani non conservative. Origini e caratteristiche del fenomeno ce le racconta Marco Respinti, col piglio del profondo conoscitore degli affari conservatori d'Oltreoceano, nel libro "L'ora dei Tea Party", edito da Solfanelli. L'autore ci guida in un percorso agile, attraverso una serie di articoli a tema pubblicati da gennaio a luglio di quest'anno, che fa ben comprendere le ambizioni "rivoluzionarie" del movimento. Al GOP che traccheggia e cerca ancora una chiave per contrastare la iattura Obama, il "partito del tè" replica con facce e proposte che mirano a conquistare un posto al sole nelle elezioni di medio termine del 2 novembre prossimo. Se i candidati in "quota tazzina" ottenessero una larga affermazione, i repubblicani ostili all'antiabortismo e al free market avrebbero le spalle al muro: non potrebbero più limitarsi a scegliere a tempo quasi scaduto un candidato vicepresidente chiamato a presidiare il fianco destro, ma dovrebbero subire senza doglianze la "tutela" dei conservatori, fino a mettere in conto che lo sfidante dei democratici nel 2012 possa essere pescato tra le file della destra senza complessi. Quella che ama la Palin, e si è piegata a votare McCain solo perché le spalle del veterano erano coperte dall'ex governatore dell'Alaska; che non teme di avere tre narici come i liberal le fanno credere ossessivamente, non ritenendo di doversi giustificare per il fatto di credere nella Croce e nel mercato, nello stato minimo e nella bandiera; che cercherà il suo front-runner tra due anni tra la stessa Palin e conservatori di sicuro impatto - anche "estetico", nello spirito dell'Obama alla rovescia - come il governatore dell'Indiana Mitchell Elias Daniels jr., di origini siriane, o il candidato governatore del GOP in South Carolina Nikki Haley, nome occidentale di Nimrata Randhawa. Le elezioni di midterm rappresentano un banco di prova fondamentale per misurare la forza dei conservatori e capire quanto si stia sgretolando l'utopia di Obama. Respinti lo ha promesso: il libro avrà una "seconda puntata" di commento all'esito del 2 novembre e agli scenari che si apriranno. Con tutta la partigianeria che ci è propria, ci auguriamo profumino di tè.

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