Sarebbe bello poter ammirare, all'interno dell'esposizione dedicata al libro politico, due classici, magari in edizione originale, in una di quelle edizioni che fanno la delizia dei bibliofili.

Unlibro agiografico, certo, che, però, persino una malalingua miscredente come Voltaire fu costretto ad apprezzare. Il secondo testo cui penso, più o meno dello stesso periodo, è il Breviario dei politici, attribuito, ma quasi certamente apocrifo, al cardinale Giulio Mazzarino: un vero e proprio manuale, che insegna ai professionisti della politica l'arte della dissimulazione e della manipolazione. Questi due classici, frutto di un Ancien Régime, così lontano dai nostri tempi, non sfigurerebbero tra i prodotti intellettuali della nostra epoca democratica. Quanto meno per il fatto che farebbero ben comprendere come, per un verso, la strumentalizzazione del passato e, per altro verso, la spregiudicatezza di chi è in qualche modo investito di funzioni pubbliche siano costanti proprie dell'operare politico sotto qualunque regime e in qualunque tempo. Sogni e scherzi a parte, però, l'iniziativa dedicata alla più recente editoria politica, quella dell'ultimo biennio, è un fatto positivo. Come pure è positivo che si colga l'occasione per riflettere, con tavole rotonde e conferenze, su temi e concetti politici, su momenti e figure significative dei tempi che stiamo vivendo: la democrazia e il socialismo, il liberalismo e il liberismo, l'identità nazionale e il federalismo e via dicendo. È una sfida, in certo senso, questa iniziativa alla sempre più percepibile disaffezione nei confronti della politica da parte dei cittadini. Per colpa, non nascondiamocelo, soprattutto dei politici. Se è vero, come è vero, che una certa vocazione antipolitica, percorsa da venature anarchiche, ha attraversato tutta la storia italiana, è anche vero che la riflessione sul passato può costituire un antidoto salutare contro gli esiti degenerativi di tale vocazione. Ma ciò sarà possibile solo se, da questi due giorni di esposizione e dibattiti, emergeranno due punti condivisi. Il primo punto riguarda la consapevolezza che la democrazia, o, per meglio dire, la liberal-democrazia o democrazia concorrenziale, non è tanto un «fine» da conseguire quanto piuttosto, come diceva il grande economista e storico Joseph A. Schumpeter, un «metodo» per giungere a decisioni politiche attraverso la libera concorrenza per un voto libero. Una meta difficile, un obiettivo non facile che presuppone la messa al bando delle pregiudiziali ideologiche di ogni colore. Il secondo punto, in certa misura connesso con il primo, concerne quella inscindibilità della libertà politica dalla libertà economica che i maggiori esponenti del pensiero liberale classico, da Friedrich von Hayek, con La società libera, a Milton Friedman, con Capitalismo e libertà, non si sono stancati di richiamare. Il ritorno degli italiani alla politica o, per meglio dire, alla passione della politica - una passione che sia davvero costruttiva e non demolitoria - può avvenire soltanto con una riflessione seria sul passato e una discussione non ideologizzata sulle prospettive del futuro. Una riflessione e una discussione disincantate che non dimentichino, però, che la storia può essere scritta, come faceva Bossuet, ad usum delphini e che i politici, secondo gli insegnamenti del cardinal Mazzarino, hanno la tendenza a praticare, troppo spesso e scientemente, l'inganno come tecnica di governo.