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La Bibbia contro il nichilismo

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diLORENZO TOZZI Stasera approda al Teatro Nazionale (con repliche sino a mercoledì) il videoratorio «Tenebrae – Disiecta membra» con musiche di Adriano Guarnieri e testi di Massimo Cacciari, che già aveva collaborato con Luigi Nono al «Prometeo», per la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Professor Cacciari di che tenebre si tratta? «Le tenebre del linguaggio, dell'arte, ma anche della nostra vita quotidiana che è oggetto dell' arte: una tematica che ha sempre cercato di fare i conti con questa tendenza sin dai miei primissimi saggi. Nell'ultimo sono tornato ai miei primissimi amori, da Kafka a Beckett. Il mio tentativo è quello di affrontare queste tenebre per vedere se vi si custodisca ancora una luce o una radura in questa selva, Nelle opere più teoretiche degli ultimi anni ho potuto impostare una critica del nichilismo. Ogni filosofia ha un momento scettico, così la filosofia ha sempre a che fare con la prospettiva nichilista. Non si supera con atti di fede o di buona volontà». Ma c'è ancora un barlume di speranza? «Il faccia a faccia con il nichilismo è essenziale in ogni filosofia. Ma se si trova una prospettica teoretica o artistica, si possono costruire valori positivi comuni e non solo valutazioni soggettive». Basta vedere l'attualità, come la recente partita Italia-Serbia a Genova annullata per un centinaio di facinorosi o alcuni recenti fatti di cronaca nera... «Ma c'è ben altro nell'attualità oltre i fatti di cronaca o una partita di calcio per ricordarci in quali tenebre viviamo. I fatti sono le molte guerre, i popoli che muoiono di fame nel mondo, gli esodi di massa delle popolazioni, i massacri quotidiani di cui i giornali non danno ormai più notizia, il disordine mondiale. Questi sono elementi che fanno pensare che la politica nel senso più alto del termine non abbia più mezzi e valori per affrontare il disordine mondiale in cui viviamo. Una partita di calcio si può anche sospendere fino a che la gente non mette la testa a posto, ma il fatto è che In Iraq ed in Afghanistan si continua a morire». A cosa si è ispirato per i testi dell'opera? «L'opera, dedicata a Gesualdo di Venosa, di cui evoca i lancinanti Responsoria per la Settimana Santa, si avvale del live electronics di Luigi Ceccarelli, di una scenografia virtuale di Ezio Antonelli e della spazializzazione digitale del suono a 360 gradi. Il maestro Guarnieri e Cristina Muti hanno collazionato alcuni miei testi per quest'opera che non ho potuto ascoltare al suo debutto a Ravenna ed ascolterò solo stasera a Roma. I testi derivano soprattutto dal mio ultimo libro, Hamletica (2009), e dal suo ultimocapitolo dedicato a Beckett e alla forma estrema a cui la letteratura e il teatro giungono a decostruire se stessi in un'opera di confine di spietata autocritica della immaginazione artistica. Una sfida accettata da Guarnieri di penetrare nelle tenebre del nostro tempo per cercare di uscirne». Cosa ci offre questo questo momento storico? «Dalla storia s'impara, forse, se la si pratica filosoficamente, con le sue grandi epoche, le idee e alcune regolarità. Quando Macchiavelli tratta di Tito Livio cosa ne trae? Alcune regolarità. Bada principe, bada politico attuale che ci sono queste regolarità della storia. Non credere che tutto nasca con te e tutto crepi con te, ci sono delle regolarità. Atteggiamento molto scientifico, fondamentale anche per la politologia contemporanea, non leggi del divenire storico ma regolarità. Atteggiamento che, oltre ad essere proprio dei nostri più grandi umanisti, come Macchivelli e Guicciardini, esiste anche oggi nella politologia più avveduta. Ma c'è pure una facile scorciatoia verso la chiacchiera, perché il sapere effettivo è diventato di una complicatezza straordinaria. Così, alla fine ci si arrangia con la chiacchiera». Alla fine vince quindi chi sa parlare meglio? «Vince chi è più bravo a convincere. Si torna perciò a quella figura del sofista, che già anche allora si diceva essere nell'Atene classica colui che lusinga il demos, il popolo».

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