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I veri laici sono cristiani

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diGIAMPAOLO CREPALDI Dalla Parte Prima: I criteri - Il problema della laicità della politica. L'impegno del cattolico in politica richiede che egli sappia mettere a punto in modo corretto il tema della laicità, vale a dire della legittima autonomia della sfera politica da quella della religione. La prima cosa da fare, a questo proposito, è di riflettere su come proprio il cristianesimo sia all'origine della corretta laicità. In quanto creato da Dio, il mondo non è Dio. In quanto incarnato in Gesù Cristo, Dio ha assunto in pieno la dimensione umana, non l'ha annullata. In quanto testo ispirato e non dettato, la Sacra Scrittura non va applicata alla lettera. In quanto fondata sul potere universale di Pietro, la Chiesa non sottostà a nessuna nazione o Stato. In quanto escatologico, il Regno di Dio non si confonde con nessun regno di questo mondo (...). Potremmo continuare ad elencare gli aspetti del cristianesimo che testimoniano come una sana laicità sia proprio un portato del cristianesimo stesso. Il mondo non è Dio, ma non è nemmeno da Dio indipendente. Il mondo come espressione diretta di Dio è integralismo; il mondo totalmente indipendente da Dio è nichilismo; il mondo contro Dio è il laicismo; il mondo che non è Dio ma è in rapporto fondamentale con Lui è la laicità. Normalmente si pensa che la laicità significhi neutralità rispetto alla religione. Il piano della laicità sarebbe un piano pre-religioso, ove le religioni non devono avere diritto di accesso. Ci sarebbe come un livello in cui tutti noi ci possiamo incontrare prima che ognuno faccia la propria scelta religiosa. A pensarla così è una vasta gamma di correnti di pensiero (...). Altrettanto normalmente si affida allo Stato, e quindi alla politica, la tutela di questo spazio di laicità e la sua salvaguardia dall'irruzione delle religioni. Da qui la neutralità dello Stato in fatto di religione che dovrebbe manifestarsi tra l'altro nel divieto di esporre simboli religiosi nei luoghi pubblici o dell'obbligo fatto ai funzionari pubblici di ogni livello di non manifestare la loro religione nell'esercizio della loro funzione. La laicità si configura così come indifferenza al fatto religioso e come confinamento della religione dell'ambito privato. Il diritto alla libertà religiosa consisterebbe solo nella possibilità di culto dentro precisi spazi ben individuati. È chiaro che se il cattolico in politica la pensa così, non ci sono più i presupposti per un suo impegno di cattolico in politica (...). Il cattolico in politica cercherà di promuovere una laicità intesa in modo diverso. La ragione ha bisogno della religione per non assolutizzare se stessa. Lo spazio politico pubblico ha bisogno della religione per fondare la dignità della persona umana non sul solo consenso. Del resto questo è reso evidente dallo stesso passato trascorso. I valori umani della civiltà occidentale sono stati il frutto anche e soprattutto del cristianesimo. La fede religiosa ha permesso di vedere nella persona diritti e doveri che altrimenti sarebbero rimasti ignoti e, una volta visti, ha dato la forza morale per perseguirli anche con il sacrificio. Il cattolico in politica, quindi, agirà affinché il fatto religioso possa esprimersi anche a livello pubblico, sociale, economico, con indicazioni anche verso la politica. Vedrà nell'apporto delle religioni un fatto positivo, evitando però di appiattirle alla loro funzione sociale. Parte Seconda: I Contenuti - La difesa della vita. Per difesa della vita si intende prima di tutto il rispetto della vita della persona umana dal concepimento alla morte naturale. La vita umana ha inizio dal concepimento. È da quel momento che inizia un itinerario unico e privo di cesure o passaggi. Da quel momento non è più possibile distinguere un prima da un dopo: si tratta di vita umana, di embrione umano, di feto umano, di bambino. Ogni tentativo di indicare dei termini (tre mesi, o altro) dal concepimento per stabilire quando si tratti di persona umana o meno è destinato a fallire. Ognuno di questi termini è arbitrario ed artificiale perché vuole introdurre una distinzione convenzionale ad uso di chi vuole intervenire sulla vita umana. Sono termini non solo discrezionali ma anche strumentali. Lo stesso si deve dire per la fine della vita, ossia per il suo termine naturale. Non è possibile stabilire un discrimine perché sempre la vita della persona è vita umana e sempre merita il nostro rispetto, la nostra vicinanza e il nostro aiuto. Un punto molto importante è stabilire che la persona umana è persona umana prima di tutto sul piano ontologico, ossia relativamente al suo essere. Una persona ha una sua “natura”, non è qualcosa, ma è qualcuno. Negare una natura umana significa dire che la persona, un ranocchio o un sasso non si distinguono. Se le cose non hanno una natura, tutto è semplicemente diverso e non c'è niente che valga di più o di meno sul piano dell'essere. Questa indistinzione tra le cose motiva atteggiamenti oggi frequenti per i quali si parla addirittura di diritti degli animali o addirittura delle piante, mentre si dimenticano i diritti dell'embrione umano (...). Ciò non vuol dire che non occorra rispettare gli animali e le piante, vuol dire però che l'uomo è incomparabilmente superiore, ha una dignità di natura eminente e una sola persona ha più valore in sé di tutto l'universo materiale. Questa dignità, fondata nell'essere, non deve essere confusa con la capacità di esercitare talune funzioni. Una persona in coma, oppure un cerebroleso è pienamente persona umana, in quanto le sue caratteristiche essenziali gli appartengono per natura. Solo che degli impedimenti fisici o strumentali non gli consentono di esercitarle pienamente. L'esercizio di fatto può essere impedito, ma l'appartenenza ontologica di quella caratteristica non può venir assolutamente meno.

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