Meno Bono ma Santo

L'ho visto. C'ero anch'io l'altra sera tra i 78 mila dello stadio Olimpico di Roma. Quando è finito il concerto, però, la prima cosa che ho pensato è stata: «Ma che fine hanno fatto gli U2?» Chi li ha sentiti suonare dal vivo negli anni Ottanta, a cavallo tra Red Rocks e Live Aid per intenderci, è pronto a giurare che erano davvero tutta un'altra cosa. A inizio concerto è stato lo stesso Bono a ricordare la prima esibizione live nella Capitale. Era il 27 maggio del 1987 e allo stadio Flaminio sembrava dovesse sbarcare un nuovo messia. Bono riusciva a sintetizzare la carica dirompente del rock e il carisma trascinante di un novello guru del misticismo. Gli U2 erano riusciti a dare un senso alla punk-wave d'Oltremanica, catalizzando la rivolta e ricucendola in una nuova sintesi di speranza e fiducia. Il lato «sano» del rock. Col microfono in una mano e i salmi della Bibbia nell'altra. Da buon irlandese doc. Oggi di tutto questo è rimasto solo un vago ricordo. Da anni la band è impegnata in un restyling tecnologico che l'ha portata a preoccuparsi più degli effetti speciali che della qualità della musica. «PopMart Tour», «Elevation Tour», «Vertigo Tour» fino all'odierno «360° Tour». Macchine da guerra sempre più imponenti. E i musicisti vengono risucchiati nel loro stesso delirio hi-tech. Fino all'apoteosi dell'altra sera. Il palco era un gigantesco artiglio che, per la prima volta nella storia del rock, si mostrava al pubblico da tutti e quattro i lati. In alto un cilindro rotante di luci e maxischermi che salivano e scendevano sopra le teste dei musicisti. Inutile dire che tutto questo armamentario faceva passare le canzoni in secondo piano.   E chi li ha più visti gli U2? Lo sguardo veniva completamente catalizzato dall'astronave aliena atterrata sotto i nostri occhi. E forse era meglio così. Quando ci si concentrava sulle canzoni, infatti, si sentiva più di qualche nota dolente. Bono sembrava impegnato in una sorta di svogliato karaoke che passava in rassegna i singoli più venduti degli ultimi anni. A onor del vero, la voce del cantante era in gran spolvero e ha risposto bene persino agli acuti pavarottiani di «Miss Sarajevo». Bono, però, ha stonato su «Elevation», con tanto di lamentela per lo scarso ritorno in cuffia della chitarra. E c'è da credergli vista la qualità generale dell'acustica. Gli anni passano per tutti e Bono ci è sembrato francamente un po' affaticato. Sarà stato perché il concerto di Roma ha chiuso la lunghissima tournée europea, sarà stato per via del recente intervento chirurgico alla schiena, ma il cantante è apparso molto meno vispo del solito. Camminava lento lungo le sterminate passerelle, stando più attento a non fare passi falsi che a coinvolgere il pubblico. Anche la scena della ragazza presa tra il pubblico e trascinata sul palco ci è sembrata un po' stantia. Una scena vista e rivista mille volte in mille altri live. Un copione che si ripete da anni sempre uguale a se stesso. Nonostante tutto, però, qualcosa del vecchio Bono è rimasto vivo. Come ha notato lo stesso Osservatore Romano che quasi lo ha santificato. «Lo show di Bono e degli U2 - ha detto l'organo della Santa Sede - dimostra che l'impegno a favore dei diritti umani e contro la povertà non necessariamente deve scadere nel politicamente corretto. I buoni sentimenti possono anche essere trasmessi con la forza dirompente del rock, che a sua volta non deve per forza essere considerato cattivo o trasgressivo a tutti i costi. Non è certo consuetudine che una rockstar durante un concerto inviti i fan a pregare». Insomma, forse ancora non tutto è perduto ma ci facciamo un'ultima domanda: possibile che tra decine di splendide canzoni, non ce n'era una più bella della sbiadita «Moment of Surrender» per chiudere il concerto? Misteri della fede.