Corriamo.
Manchiamoa pranzo, troppe volte. Usciamo la sera prima che dormano. Capita addirittura che il peso del nostro bambino ci faccia impazzire. Dissociate, destrutturate, stanche. Fragili. Oppure, incapaci di far crescere nostro figlio sulle proprie gambe. Per eccesso di amore e di ansia. Madri da reinventare, sole nelle grandi città. Ma anche madri coraggio, che non sanno come difendere il frutto del ventre dagli artigli di un mondo che prevarica, offende, veicola disvalori. Forse a tornare nei binari giusti, in quelli della maternità come primo motore della Storia, serve riflettere, sfogliare certe pagine, certe immagini. A ritroso nel tempo. E ridefinire che cosa è una mamma. Come tenta di fare il regista Guido Chiesa («Il partigiano Johnny», «Alice in Paradiso»). Per il suo nuovo film, «Io sono con te», in concorso al Festival del Cinema di Roma, ha fatto una scelta coraggiosa. La sua protagonista è la madre più esemplare, Maria di Nazareth. Avrà il volto semplice di Nadia Khlifi, attrice non professionista, quindicenne, tunisina. «Una sfida questo film - anticipa Chiesa - perché l'amore incondizionato di Maria per il suo bambino, la necessità di dare amore ai propri figli è un messaggio straordinariamente attuale. Lo dice anche la scienza. Da un recente studio di ricercatori svedesi è emerso come l'amore riversato sui nostri bambini nei primi mesi di vita li renda più intelligenti. Chi riceve amore saprà darlo». Ma quale amore? Quello che sa stare in silenzio e, quando parla, insegna. Nel Vangelo Maria, diventata madre, interviene soltanto una volta: alle nozze di Cana. La donna che ha seguito con discrezione quel figlio carismatico, capace fin da giovanetto di ammaestrare i sacerdoti del Tempio, insomma questa madre che fa sempre un passo indietro di fronte alla volontà di Dio, decide di chiedere per aiutare gli altri, i protagonisti di simbolico matrimonio travolti dalla vergogna di non avere più vino per gli invitati, nel giorno più importante. «Figlio, fa' qualcosa». Poi torna nel cono d'ombra, a portare sulle spalle il peso della vita. A seguire, nella rinuncia, il Figlio sul Calvario. A impregnarsi sotto la Croce della sua sofferenza. L'abbandono di Cristo tra le braccia della madre che Michelangelo ha scolpito cercando la tenerezza e la forza insieme, dice di una mamma innocente e protettiva. E le mille e mille «Madonna lactans», le Vergini che allattano, dicono della virtù della pazienza che dev'essere di ogni madre: il bambino stretto al petto, senza guardare l'orologio, senza curarsi di essere spettinata, affrontando anche il disagio di scoprire davanti agli estranei il seno turgido di vita. C'è anche fierezza, orgoglio, in Maria di Nazareth. Come dev'essere in ogni mamma. Quel Figlio è condannato nell'hic et nunc. È un perdente. La madre accetta. Sa che l'obiettivo, l'esito finale è un altro. È il senso di certi film, dove il legame diventa tragedia. Film sulla brutalità della guerra. Film sulla volgarità del presente. Ecco «La ciociara» di De Sica, ecco «Bellissima», di Visconti. Ed è il senso di certe foto che il mondo ci rimanda. La madre palestinese che il terrore ha riempito di rughe prima del tempo. Stringe il figlio. Lei è una vecchia, lui un lattante. Hanno la sapienza, il dolore, la tenerezza. E la forza per vivere.