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di MARIO BERNARDI GUARDI No, questo è uno scherzo.

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Alui, proprio a lui che neppure sapeva di essere candidato, che da anni non era in corsa e che in ogni caso quell'alloro non se lo aspettava. Ma come mai? Proviamo a spiegarlo. Mario Vargas Llosa? Uno dei massimi scrittori latino-americani, insieme al peruviano Gabriel Garcia Marquez: d'accordo. Autore di libri apprezzati dalla critica e dal pubblico di tutto il mondo come "La città e i cani" (Rizzoli), "La casa verde" (Einaudi), "La zia Giulia e lo scribacchino" (Einaudi): è vero. E personaggio vivace, colorito, eclettico, con interessi che vanno dalla saggistica alla narrativa, dal giornalismo al cinema, dal teatro alla politica (nel 1990, si candida alle presidenziali in Perù, ma viene sconfitto da Alberto Fujimori): non ci piove. Nonché innamorato da sempre del Vecchio Continente (le "sue" città sono Parigi, Londra, Madrid) e spirito libero e impavido, paradossale e polemico. Già, molto polemico: e magari polemicamente/politicamente scorretto per gli accademici di Svezia, molti dei quali pendono a sinistra e parlano ancora il vetusto "sinistrese", mentre Mario, dacché ha rinnegato la cotta castrista e ogni infatuazione progressista, non è più né un "compagno" né un "compagno di strada". Per cui, c'è da scommetterci o quasi, il Nostro deve aver pensato: ma come, a suo tempo non hanno premiato l'argentino Jorge Luis Borges, profondamente "europeo" nell'anima, conoscitore di Dante e di Virgilio, esperto del Grande Nord delle leggende, delle saghe, dei miti; e non l'hanno premiato, pur essendo palese la sua grandezza e universalmente riconosciuta la sua originalità di "bibliotecario di Babele", perché notoriamente era un anarco-conservatore, con simpatie addirittura reazionarie; e adesso vengono a premiare me che ho fatto a cazzotti con quel comunista di Gabriel Garcia Marquez, ancora inchiodato alle sue "fisse" paleo-marxiste e paleo-castriste? No, questo è uno scherzo. Beh, non lo era: ed allora tanto di cappello a Stoccolma e al suo rinsavimento accademico. Oddìo, tra i Nobel mancati, oltre Borges, che ormai vagabonda per i suoi cieli gnostici, c'è anche, vivo e vegeto, Philip Roth, nato nel 1933 (dunque tre anni più vecchio di Vargas Llosa), un ebreo yankee raffinato e tormentato, e sicuramente "di rango", dal punto di vista della creatività e dello stile, come e più del peruviano. Ma, insomma, non si può avere tutto dalla vita. E, mettendo questo Nobel all'incasso dell'intelligenza e della libertà, tante congratulazioni al nostro gagliardo settantenne che è convinto che la letteratura sia "fuoco", che ringrazia Dio per il fatto di esserne "uno schiavo volontario e felice" e che è convinto che gli intellettuali non debbano essere "i pifferi della rivoluzione". Tanto per usare un'espressione del nostro Elio Vittorini, ai tempi in cui litigò con il guru del PCI, Palmiro Togliatti e, privo dell'appoggio dei compagni del Grande Fratello, dovette chiudere "Il Politecnico". Roba di sessantatré anni fa, ma brindando al Nobel conquistato da Mario il Libertario, non è male farci su un memore pensierino.

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