di GENNARO MALGIERI Domani si apre la Buchmesse di Francoforte, la più imponente ed importante fiera del libro del mondo.
Centotredicii Paesi presenti, 6390 gli espositori. L'Argentina è l'ospite d'onore di quest'anno. L'Italia, come d'abitudine, è massicciamente presente con 324 editori di cui 54 nel "Padiglione Italia" che verrà inaugurato dal sottosegretario alla Cultura, Francesco Giro, e dall'ambasciatore a Berlino, Michele Valensise. Quest'anno il nostro Istituto di cultura di Francoforte ha fatto le cose in grande organizzando una settimana dedicata agli scrittori italiani. Encomiabile. Se non fosse per l'unilateralismo nella selezione degli invitati. Non ce n'è uno non dico riconducibile ad una sensibilità conservatrice o più blandamente antiprogressista, ma neppure "politicamente scorretto", vale a dire non classificabile secondo gli stereotipi del "pensiero unico". Alla responsabile dell'Istituto, Paola Cioni, ed ai suoi collaboratori, sono venuti in mente chissà perché soltanto Andrea De Carlo e Silvia Avallone (il cui décolleté ha intrigato Bruno Vespa), Vincenzo Consolo (quello che voleva espatriare se le elezioni le avesse vinte Berlusconi) e Giancarlo De Cataldo, Emilio Gentile e Daria Bignardi, Caterina Bonvicini e Roberto Carnero. Scrittori di rilievo, ma più o meno tutti schierati in un certo modo. Come mai non è stato ritenuto degno d'invito anche un Antonio Pennacchi, vincitore in pochi mesi di un premio Strega, di un Acqui Storia e finalista al Campiello sempre con il romanzo storico "Canale Mussolini"? Dimenticarsi di "irregolari" che hanno un altro punto di vista rispetto alla cultura corrente, non è segno di cecità o deprecabile distrazione? Da Buttafuoco a Veneziani, autori di libri di successo quasi ogni anno, nel mezzo ce ne sono tanti considerevoli che scontano le reticenze dei salotti televisivi, forse. E tra gli storici, perché trascurare i Cardini, i Vivarelli, i Guerri, i Quilici, i Perfetti e via elencando, compreso quel geniale storico, filologo e polemista sicuramente comunista che è Luciano Canfora? Ecco, il guaio. Gli stereotipi. Che ad essi si adeguino i giornali e l'industria mass-mediale ha poca importanza. Quando c'entrano le istituzioni il discorso cambia. In peggio, naturalmente. E se le istituzioni hanno poi la pretesa di rappresentare la variegata, multiforme cultura italiana all'estero secondo schemi piuttosto ristretti, a tacer d'altro, forse è il caso che le autorità dalle quali dipendono vigilassero non per censurare, ma per allargare la platea degli aventi diritto ad un po' d'attenzione rispetto alla pigrizia che fa compiere scelte più che discutibili, prevedibili, dunque noiose come non è davvero la cultura italiana per quanto male se ne possa dire. Sia chiaro, qui non si tratta della solita stucchevole polemica sull'egemonia, ma di qualcosa di più pernicioso: di ignoranza, nel senso di ignorare il molto che c'è e ridurre il tutto al poco che si sa o, quantomeno, che è noto. In una fiera ambiziosa come la Buchmesse vorremmo che l'Italia fosse rappresentata in tutta la sua ricchezza e non nella sua povertà. Preveniamo l'obiezione: non ci si venga a dire che gli scrittori proposti sono quelli tradotti in tedesco. Degli esclusi potremmo fornire un campionario vastissimo, nel quale ce ne sono alcuni che in tedesco scrivono direttamente, senza farsi tradurre. Chissà, forse è un demerito. Di questi tempi...