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Il rimpicapo degli Anni di Piombo

Milano, maggio del 1977: estremisti di sinistra sparano contro la polizia

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Non c'è niente di facile in quelli che vengono convenzionalmente chiamati «gli Anni di Piombo». Non è facile capire quando iniziarono e, meno che mai, quando finirono. Se mai finirono. Cercare di stabilire chi furono i protagonisti è come camminare in una palude, cercare di capire i perché, anche in grandi linee, è un'impresa che rischia di precipitare nel nulla. Le uniche cose certe sono i tanti, troppi morti e feriti che ha lasciato sull'asfalto delle città quell'epoca. L'Italia tra il 1969 l'80 venne scossa dalla spaventosa cifra di 12.960 attentati. Persero la vita 362 persone, di queste 150 in stragi sulle quali non è mai stata fatta luce completa, i feriti furono 4.490. Tanti procedimenti giudiziari, tante inchieste, pochissime le risposte. Esce in questi giorni un «librone» di più di quattrocento pagine che, pur non avendo la pretesa di risolvere questo rompicapo, pone alcune domande interessanti. Non per niente «Il libro degli anni di piombo», edito da Rizzoli, esce dalla penna di due storici non italiani: Marc Lazar e Marie-Anne Matard-Bonucci. I due, francesi, professori di studi politici e storia, hanno concentrato nel volume con la copertina rosso fuoco, dati, riflessioni analisi e deduzioni loro, di altri studiosi e di alcuni protagonisti di quell'epoca, come l'allora magistrato Gian Carlo Caselli. Come dicevamo risposte poche, ma cifre tante, e alcune domande ben impostate che svelano il ruolo cruciale della stampa, dei mezzi d'informazione e dell'opinione pubblica in questo periodo di terrorismo eccezionalmente lungo nella storia d'Europa che pure, di terrorismo, ne ha visto tanto. Particolarmente illuminante l'intervento dello storico Guido Panvini che, nel capitolo da lui curato, mette in chiaro un particolare: gli anni della strategia della tensione non videro lo scontro tra estremisti di destra e di sinistra. Anzi, nonostante l'odio per la fazione opposta sia stato un elemento fondamentale per la formazione dei protagonisti del terrorismo, in realtà non ci fu scontro, ma anzi un'inconfessabile alleanza contro le Istituzioni e lo Stato. E questo nel libro spalanca le porte ad un ulteriore interrogativo: se non furono destra e sinistra a combattersi, chi c'era sul campo di battaglia e chi stava con chi? Quello che emerge dalle tante riflessioni è che uno degli oggetti del contendere era l'opinione pubblica e la bandiera da sventolare per conquistarla era quella dei media. La stampa e la televisione giocarono un ruolo cruciale nel «lanciare» i gruppi eversivi e le loro azioni criminali. Non c'erano neri e rossi che si combattevano, ma formazioni di terroristi che attuavano piani criminali per conquistare spazio nei notiziari. E non solo: l'informazione era fatta di fotografie, manifesti (allora giocavano un ruolo importante), cinema e letteratura. E a ognuno di questi è dedicato un capitoletto. Qual era lo scenario di tutto? La risposta, e questa risposta c'è, è che il palcoscenico di questo teatro non è tutto in Italia. Un capitolo, dedicato ai rapporti tra la Francia e il nostro Paese, «internazionalizza» la storia di quegli anni. «Il libro degli anni di piombo» ha un grande pregio: cerca di dare una lettura nuova di quel periodo, ma rigorosa, senza creare affascinanti quanto sconclusionati X Files. Anche se, restando con i piedi per terra, gli scenari che si aprono possono essere ancora più inquietanti.

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