La leggenda del bandito e del campione

Ilprimo le vie tortuose del nord le scala su due ruote mentre il secondo, quelle stesse strade, le utilizza per scappare dopo un colpo. È «La leggenda del bandito e del campione» la storia, che lunedì e martedì in prima serata approda su Raiuno, di Costante Girardengo e Sante Pollastri: una produzione Rai e Red Film. I due si conoscono da giovani e iniziano insieme a pedalare, se ne vanno in giro per Novi Ligure, per Torino, lungo il Piemonte. In bicicletta. Ma poi prendono strade diverse. Girdardengo (Simone Gandolfo) fa della bicicletta il proprio mestiere e stravince: un campione d'altri tempi. E di Sante Pollastri forse «fu antica miseria o un torto subito a fare del ragazzo un feroce bandito», come canta la canzone di Francesco De Gregori, che dei due racconta le gesta: senza discostarsi dalla realtà. Come raccontato anche dalla fiction, Sante esce ed entra dalla galera, si mette nei guai, non riesce a uscire dal circolo vizioso della malavita. Nella miniserie i due si innamorano della stessa donna (Mela, interpretata da Raffaella Rea) e manca poco che arrivino a condividerla. Nella realtà questo non accadde: è ciò che lamenta una delle eredi di Girardengo. A cavalcare la polemica ci hanno pensato sia Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, che Beppe Fiorello: quest'ultimo, all'interno della fiction, veste i panni di Sante Pollastri. Entrambi hanno detto praticamente la stessa cosa: che alla fine il ritratto che si fa di Girardengo è quello di un personaggio buono. Insomma lui ne uscirebbe bene anche se, la finzione, nelle due puntate ha giocato la sua parte. «Ho potuto scegliere il ruolo da interpretare - ha raccontato ieri Giuseppe Fiorello - Perché i protagonisti erano ancora "liberi". E Girardengo mi sembrava un po' scontato. Pollastri è un personaggio che ha delle ombre, più intrigante e sopra le righe». «Io - ha commentato Simone Gandolfo, che veste i panni del campione Costante - avevo già interpretato Coppi. E mi sono reso subito conto - ha continuato - della responsabilità che avevo: era un campione come non ne nascono più, perché è cambiata la società».