Nostalgia di swing

Buona idea riportare sul piccolo schermo i tempi e la vicenda del trio Lescano, la straordinaria formazione olandese che approdò in Italia alla metà degli anni Trenta. Buona perché permette di ricreare il clima e l'ambiente di una Italia sicuramente soffocata dai miti sballati e irritanti del fascismo ma in qualche modo reale, reattiva, carica di fermenti. Domani e dopodomani arriva su Raiuno «Le ragazze dello Swing», fiction di Maurizio Zaccaro per la produzione della Casanova di Luca Barbareschi. Non è la prima volta che Rai Fiction tocca i miti del passato, sport o intrattenimento, scienza e sociale, confortata da una risposta del pubblico più che incoraggiante. Sarà così anche questa volta, grazie non solo all'accorta regia ma alle tre protagoniste: Andrea Osvart (la sola già nota al grande pubblico televisivo), Elise Schaap e Lotte Verbeek, che olandesi lo sono veramente (e difatti abbondano, soprattutto nella prima parte, efficaci dialoghi nella loro lingua). Si parte proprio dall'Olanda, 1924, nella più classica notte buia e tempestosa, dove fra i carrozzoni di un circo, un uomo abbandona la moglie, Eva Leschan, sotto gli occhi delle tre figlie ancora in tenera età: Alexandra, Judith e Kitty. Dodici anni dopo le prime due sono a Torino, dove sbarcano il lunario facendo un po' di tutto, ma sognando sempre il mondo dello spettacolo. Ci provano, ma gli inizi sono incerti. Qualche tempo dopo vengono raggiunte dalla madre e da Kitty e i provini iniziano a dare qualche risultato. Sarà il maestro Carlo Prato a scoprirle definitivamente, italianizzando i loro nomi (Alessandra, Giuditta e Caterinetta Lescano), ad armonizzare il repertorio (ottime cover americane e notevoli brani tutti italiani scritti per le loro voci dai migliori autori su piazza) per tre vocalità femminili e soprattutto ad indirizzarle artisticamente. Saranno loro a costituire la colonna sonora dell'Italia della fine anni Trenta e di tutto il decennio successivo. Per gli italiani rappresentavano qualcosa di speciale, esotico, con un accento assai diverso da quello rigidamente melodico a cui si attenevano tutti i cantanti più popolari. Venne definita «canzone sincopata», un neologismo senza alcun significato, utile solo ad evitare riferimenti stranieri. La fiction di Zaccaro coglie lo spirito dell'epoca: i rapporti con il regime, un Paese desideroso di uscire dalla guerra e di ripartire, un gusto un po' amaro per quello che non sarà più, ma la certezza di un domani migliore. Seppur doppiate nelle parti vocali, supportate dai calligrafici costumi di Simonetta Leoncini, le tre attrici sono convincenti e molto brave. Ottimo l'equilibrio fra il privato e il professionale che la storia vuole raccontare, come pure il rapporto non risolto con il padre, lievemente caricaturale la ricostruzioni dei personaggi reali, da Pippo Barzizza a Gorni Kramer, da Alberto Rabagliati allo stesso Carlo Prato. Il problema principale di Maurizio Zaccaro - che lo stesso regista ammette - è in fondo quello più insidioso nelle ricostruzioni di un'epoca lontana ma non così remota da non essere più ricordata da nessuno, vale a dire «il vero storico e il vero poetico». Si preferisce indugiare sul sociale, esagerando sull'ipotesi che vedeva le Lescano spie internazionali, trascurando lati fondamentali della loro vicenda e soprattutto del loro successo. A cominciare dalla radio, che fu la loro reale rampa di lancio. Si preferisce rappresentare le sorelle Lescano come tre super gnocche, cosa che non erano, anche un po' morbosette. È vero il contrario. A differenza di quanto accade oggi, le Lescano ebbero un clamoroso successo proprio perché il loro mezzo di riferimento era la radio, ovvero la negazione dell'immagine. Un dato che favorì molti altri interpreti dell'epoca, spesso non proprio attraenti. Certamente avranno concorso intuibili ragioni, ma se i loro reali profili non erano così corretti, lo era l'intonazione e il senso dello swing, che non mancava mai. E a proposito di swing, se ne ascolta pochissimo. Si preferisce dare spazio ai temi melodici - che comunque le Lescano sapevano ottimamente eseguire, al pari delle Andrew Sisters, il loro modello di riferimento - piuttosto che alla frenesia, alle proibizioni e al gusto ribelle che il genere afro-americano suggeriva. Si balla poco e male. Peccato. In fondo era una cosa che gli italiani amavano, perché non costava niente; si ballava in casa con quattro dischi, con la radio (la trasmissione più celebre dell'epoca era «Ballate con noi»), in parrocchia, ovunque. Lo swing, con la sua ondulazione-distensione, si dimostrò contagioso, irriverente, erotico, decisamente non autarchico, per questo era proibito. Avrebbe meritato un maggior approfondimento la vicenda di Caterinetta, l'ultima ad aggiungersi, la prima ad abbandonare il trio e a morire prematuramente, nel 1961. Fortunatamente è salva l'epopea, la patina dolce-amara dell'Italia al tempo del trio Lescano, asse portante del mito ed elemento rassicurante della fiction.