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Vetta d'Italia, addio.

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Percitare, allora, le parole originali attribuite al gongolante Luis Durnwalder, presidente della giunta alto-atesina: «Sag adieu zur Vetta d'Italia», come riporta un non meno trionfante Dolomiten, il quotidiano in lingua tedesca. Tutto merito, si fa per dire, di un protocollo d'intesa fra il governo di Roma e quello di Bolzano che in teoria, pensate un po', doveva cancellare lo sconcio di migliaia di cartelli segnaletici sui sentieri di montagna scritti solamente in tedesco, anziché in italiano e tedesco come prevedono le norme di rango costituzionale dello Statuto speciale d'autonomia. Grazie a un paio di commi che ricalcano quasi alla lettera le documentate posizioni della Svp, il partito per il quale vota la maggioranza degli alto-atesini di lingua tedesca, d'ora in poi sarà possibile «mantenere, nella loro dizione originaria, in lingua tedesca e/o ladina i nomi storici, ferma restando in ogni caso la traduzione dei termini aggiuntivi, come per esempio “malga”, “lago”, “montagna”, “fiume”» (articolo 5, comma b). Spiegazione: non c'è più bisogno di mettere accanto al nome tedesco anche la versione in italiano, come se quasi un secolo di storia tricolore fosse irrilevante rispetto a quella tirolese (ma, scavando, una moltitudine di toponimi sono d'origine latina e pre-latina: la storia non è mai monolitica e monolingue. È sempre un miscuglio di tante cose). Potrebbe, dunque, restare il solo nome in tedesco Glockenkarkopf, che verrebbe considerato «storico», senza il dovere di renderlo anche in italiano nella forma attuale e ufficiale di Vetta d'Italia. In astratto, questo protocollo si riferisce solo alla cartellonistica montanara, quindi non ai nomi delle cime, oggetto, semmai, di una successiva legge provinciale sulla toponomastica. Ma ai furbetti della Svp basterà introdurre nella norma provinciale il testo del protocollo appena concordato col governo e sarà un gioco da ragazzi mettere Roma in imbarazzo: come farà, l'esecutivo nazionale, a rinviare alla Corte Costituzionale, per manifesta violazione del principio del bilinguismo obbligatorio, una legge provinciale che riformula i criteri approvati in precedenza proprio da palazzo Chigi? Durnwalder fa bene a festeggiare. E noi faremmo meglio a chiedere al ministro Raffaele Fitto, che finora aveva mostrato di saper e voler affrontare un'ingiustizia tollerata da troppi anni, cioè la secessione dalla lingua italiana in Alto Adige, a quali «tecnici» s'è affidato per vergare un simile protocollo. Nel quale vengono elencati con puntiglio tutte le fonti normative della toponomastica - perfino l'Accordo De Gasperi-Gruber del ‘46 -, fuorché le sole norme che contano, e grazie alle quali i nomi italiani sono oggi adottati: il decreto ministeriale del '40 emesso per effetto del regio decreto 800 del 29 marzo 1923. C'è solo un vago accenno al rispetto delle «normative statali e provinciali in vigore». Fanno i generici per non farla troppo lunga? Ma no, sarà stata una coincidenza: quelle sono le norme, guarda un po', che la Svp non vede l'ora d'abolire, proprio perché hanno ufficializzato i nomi italiani in Alto Adige. Intanto le ha abolite Fitto con l'oblio. Patetico, infine, è il riferimento del protocollo (articolo 5, comma a) al criterio di apporre i cartelli tenendo conto delle «denominazioni diffusamente utilizzate». Scusi, ministro: chi stabilisce quanto sia «diffusamente utilizzato» il nome in tedesco oppure quello in italiano? L'istituenda commissione paritetica Stato-provincia? Anche questa scelta denota che il governo ha subìto la vecchia e ridicola tesi dell'«uso», indimostrabile, del toponimo per sancirne la validità. In pratica, siccome in molti municipi e frazioni gli italiani sono pochissimi, e scarso è perciò l'utilizzo della versione in italiano nella cartellonistica, tanto vale abolirla, l'italica versione. Come se gli italiani del resto d'Italia, e i cittadini del mondo, e l'esercito dei turisti d'ogni lingua che visita l'Alto Adige non avessero il diritto, se lo desiderano, di poter dire Vetta d'Italia, anziché Glockenkarkopf. Ma può un protocollo d'intesa violare così apertamente la Costituzione? Sarebbe opportuno che la magistratura alto-atesina (o nazionale), trovasse il modo di sollevare la questione, e il protocollo delle beffe, all'attenzione della ben più vigile Corte Costituzionale. Le cui sentenze sul bilinguismo obbligatorio a Bolzano, cominciando da quella, fondamentale, sul dovere di far precedere in italiano «maso avito» alla forma «Erbhof» in tedesco, non sono state citate - neanche quelle! - nel protocollo zeppo di citazioni. Quante coincidenze, e che vergogna.

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