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Gol dei bei tempi

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diGIUSEPPE SANZOTTA Leggere il libro di Valerio Magrelli è come sfogliare l'album dei ricordi. Quelli dell'autore si intrecciano inevitabilmente con quelli di tutti noi. Così torna alla mente il campetto dove con il papà e la radiolina gracchiante si facevano due tiri la domenica pomeriggio. Può non essere Villa Borghese come nel caso dell'autore, ma un prato di periferia. La nostalgia e l'emozione, però rimangono le stesse. Comune è anche l'iniziazione a uno sport maschile, virile, quasi come un passaggio obbligato, qualcosa da tramandare da padre in figlio. Un testimone da passare di mano. Ma con dolcezza. Non c'era l'ambizione sfrenata dei genitori di fare del figlio un campione ricco e famoso, ma semmai la voglia di trasmettere una passione. Tutto senza clamori, senza gli eccessi degli isterismi dei divi del pallone amplificati da telecronisti sovraeccitati destinati a contagiare anche i bambini, a farne dei cloni di quei divi televisivi di cui vorrebbero, loro e i genitori, condividere la sorte, la ricchezza e le belle donne che li circondano. Ai più rimane solo l'isteria. Quell'isteria assente nei giochi di ragazzi quando si infilava la palla in quella porta delimitata dalle cartelle della scuola o dai maglioni sfilati per non sudare. E anche il pallone era quello che passava il convento. Quello che si lasciava trasportare dal vento e disegnava traiettorie strane, o pesante come un macigno. Non erano all'ultima moda costruiti con materiali non decifrabili e prodotti in oriente. Il libro è composto di due tempi, come nella partite di calcio, ognuno di 45 minuti e per ogni minuto c'è un capitolo. Così il ricordo per un gioco può essere l'occasione per riflessioni profonde sulla vita, sul tempo che trasforma stili, abitudini. Ci sono poi quei personaggi che invece restano immutabili. Magrelli parla di un giovane campione della sua infanzia, presuntuoso, pavoneggiante fiero di essere ammirato. Ma poi lui e il suo presunto talento non hanno lasciato traccia. Oggi più di ieri abbiamo tanti di questi esempi. Lontani dai prati e dai campetti. Pensiamo a tanti palloni gonfiati dalla tv, già divi per aver partecipato a un reality. E dopo? Più nulla. Nelle 90 storie emerge questa voglia di trasmettere una passione e un modo diverso nel rapportarsi con gli altri con una forte spinta alla socializzazione, alla condivisione. Ben diverso dal gioco solitario che sostituisce all'umanità reale fantasmi virtuali. Oggi irrompe la play station con le caricature di calciatori. L'immagine del bambino solo che esce con il pallone in cerca di amici per giocare insieme rischia di restare preistoria. Ora quel ragazzo rimane a casa con il computer e gli amici li trova, ma navigando in rete. Fantasmi virtuali. E se gioca al calcio spesso lo fa su campi sintetici con allenatore e divisa in ordine, palloni regolamentari. Caricature senza gioia di idoli lontani. Caricature che non susciteranno l'interesse di poeti e scrittori. E che soprattutto avranno poche emozioni da trasmettere ai figli.

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