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Giorello, ateo da supermarket

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L'aulaera stracolma e il silenzio si poteva tagliare con il coltello. Il Prof. Sainati faceva lezione, nel Dipartimento di Filosofia dell'Università di Pisa, e tutti, in estatico silenzio, andavano a guadagnarsi il pane sacro della verità, attingendo a quelle dense analisi. Testi classici, sempre, roba pesante. Un motto, in particolare, ripetuto con feroce insistenza: la filosofia è "fatica del concetto". Ecco, di tutto questo - la "fatica del concetto" di hegeliana memoria - non vi è traccia nel pamphlet assai poco corrosivo, e scontato fino alla noia, di questo filosofo, allievo dell'ultimo epistemologo adepto del materialismo dialettico, Ludovico Geymonat, che reca il titolo "boom" dell'anno: «Senza Dio». Sottotitolo, ancor più "caustico": Del buon uso dell'ateismo». Caspita, c'è da farsi male anche solo a sfiorarla, questa aurea opera di ingegno. La casa editrice Longanesi, con quel popò di fondatore che si ritrova, si è affiliata al gruppo dei loggionisti che fischiano ad ogni minima stecca del tenore, ma, poi, non seguono l'opera, gli basta fischiare: gli "atei metodologici". Segni dei tempi. Dopo la fine delle mezze stagioni, ecco ora la fine delle antiche case editrici. A dire il vero, anche la fine dei provocatori intellettuali, perché Giorello tutto è tranne che un provocatore. Anzi. Il vecchio marxista Lukàcs (guarda chi mi tocca citare, per respirare un po' di aria buona, antica...) avrebbe detto: "apologia indiretta". Giorello non si è accorto che di ateismo se ne parla da millenni e che il primo appellativo spregiativo, "atei", è stato confezionato per i primi cristiani, spregiatori del potere dispotico degli imperatori. Cioè, contro lo Stato. Esattamente contro i libertari e libertarians, cari al nostro epistemologo. L'ateismo non si spiega facendo riferimento a Russell - che non era né libertarian, né liberale, ma una specie di socialista "fabiano" eclettico - e al peggiore dei suoi saggi, «Perché non sono cristiano». Né si può pretendere di lambire questo fronte teologico - perché chi nega Dio, secondo la teologia dialettica, lo afferma, ma queste cose bisogna averle lette - senza accennare minimamente alle scuole teologiche, facendo il verso ad un Voltaire imbolsito e riciclato in salsa retorico-sofistica. Non c'è niente in questo libro, aria fritta. Tutto qua. L'ateismo è un limite logico prima di tutto, non determinabile sul piano logico, un paradosso, e ciò per le ragioni sostenute da Nietzsche: Dio è la parola del nostro mondo. Puoi negarla, ma essa si impone. L'agnosticismo è serio proprio perché, popperianamente, assume l'impossibilità epistemologica di proferire parole definitiva su una realtà assoluta e definitiva. Allora, replicherà Giorello, l'ateismo è quel che dico io: un "atteggiamento". Ma è proprio questo il punto: l'atteggiamento è un modo di essere che presuppone, appunto, un essere fondato su verità certe e, infine, un pensiero. Non basta dimenarsi nella pista da ballo per essere il John Travolta di «Saturday night fever». La "fatica del concetto" non è il posizionarsi retorico di fronte ai problemi, è l'affronto deciso e razionale degli stessi. Ci vogliono argomenti, non basta enunciare: prima ero agnostico, ora voglio le dose pesanti di "roba", meglio ateo. E poi, perché fa più "figo": ateo liberale, anzi libertario. Per trovare un libro vero su questo tema si deve leggere L'itinerario spirituale di un agnostico dello storico belga Leo Moulin, altra aria, lì non c'è il vento "giorello". Per dirsi "a-teo", senza Dio, non basta fare il centone dei cosiddetti "atei" storici, mettendo nel carrello del supermercato, come si fa quando si compra on line su Amazon, tutto e il suo contrario. Mill, ad esempio, non è Camus e il Clint Eastwood degli «Spietati» non c'entra niente, perché quel film, anche nel finale citato da Giorello, è, sì, il rovescio di Dio, ma attraverso l'etica del destino, forte e risoluta. Gente seria che non scazza, come diceva Gaber, non un nugolo di sfaccendati accademici che dipinge a colori il solito tema: il nulla. Dunque, il vàgulo ateismo metodologico va ancora una volta a farsi benedire. Né Dio, né padrone, il motto degli anarchici piace a Giorello. Ma forse gli è sfuggito la presenza storica di libertari radicali cristiani, l'America né è piena, e chi scrive fa parte di quella schiera. Sul sito http://www.lewrockwell.com, l'ateo nostrano potrà reperire molto materiale, anche un saggio di Steven Yates, «How I became a christian libertarian». Non solo: la stessa cultura americana, pur con gli gnostici Emerson e i libertari non cristiani come Thoreau, non vanta atei di sorta. Ci sarà pure una ragione. L'Europa, invece, può mettere nel carrello di Amazon una schiera di nichilisti e maestri della retorica, come Giorello, che non pensano la realtà, ma se ne fanno beffe. Va tutto bene, finché quest'operazione produce in noi un fremito eversivo anti-politicamente corretto, ma quando il tutto è un parto vaporoso senza eros, né bellicosità, allora la noia sopravanza e ci fa chiudere, con Eliot: il mondo finirà, con voi, sì, ma con uno sbadiglio in atto. Il nostro.

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