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Cultura di destra: "Io, assessore ho fatto così"

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Umberto Croppi

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Il 2010 potrà essere senza dubbio considerato l'anno in cui la cultura della Capitale ha superato ogni record. L'apertura della nuova ala del Macro, della Pelanda al Mattatoio e del MAXXI, insieme alla nuova edizione di Roma Contemporary Road (la fiera dell'arte contemporanea) hanno messo la città al centro dell'attenzione mondiale per l'arte contemporanea; la nuova sistemazione di Palazzo Barberini e di Palazzo Braschi, da domani aperti al pubblico, aggiungono spazi straordinari per l'arte classica; eventi come la mostra su Caravaggio o la "notte dei musei" hanno movimentato masse di visitatori mai viste prima. I numeri sono in crescita in ogni settore: i musei del Comune di Roma hanno registrato un aumento di visitatori pari al 10% nello scorso anno e la tendenza è confermata anche nei primi mesi di quello in corso, l'estate romana si chiude con un aumento medio di fruitori delle sue manifestazioni intorno al 25%, rassegne come "luglio suona bene" all'Auditorium ha staccato il 20% di biglietti in più e, dato ancor più significativo, è in aumento la percentuale di spettatori stranieri, che arriva fino a punte del 50%. I risvolti economici sono altrettanto evidenti: l'Azienda Speciale Palaexpò (110% di visitatori in più) per la prima volta nella sua storia ha chiuso con un saldo attivo il rapporto costi-ricavi per le mostre e l'indotto sull'economia cittadina della sola mostra del Caravaggio è valutabile in più di 30 milioni di euro; uno studio della Fondazione Rosselli dimostra che per il Festival del Cinema ogni euro investito produce un beneficio per la città di 38 euro. Sono soltanto alcuni esempi ma rendono perfettamente l'idea di quanto le attività culturali costituiscano non solo l'elemento di riconoscibilità più forte per Roma ma anche la sua vera industria (nel solo comparto del cinema lavorano 250.00 addetti). C'è infine un altro elemento da considerare: nonostante la crisi che erode la capacità di spesa delle famiglie, da parte di queste aumentano in maniera significativa i consumi culturali, dimostrando che il bisogno di cultura è ai primi posti nelle esigenze dei romani. Queste esigenze e opportunità sono ben presenti all'amministrazione guidata dal sindaco Alemanno, tanto che il bilancio della cultura in questo triennio è aumentato sia in termini percentuali che assoluti; la situazione che abbiamo ereditato e che noi abbiamo potuto solo parzialmente correggere è tuttavia lontana dagli standard europei. Basti pensare che l'intero importo della spesa corrente per la cultura per Roma è pari a quanto lo Stato Francese impiega per il solo Louvre, oppure che Barcellona (metà della popolazione di Roma e una quantità di monumenti e istituzioni infinitamente più esigua) spende ogni anno circa 20 milioni in più. Considerando anche che l'Italia è l'ultimo in Europa nella percentuale destinata alla cultura rispetto al PIL. Eppure siamo così abituati a convivere con questa situazione che, anche nel pieno della crisi, il sistema ha dimostrato di saper compiere performances straordinarie. La scure che sta per abbattersi sulle produzioni culturali con la manovra finanziaria approvata a luglio non è però dovuta ai "tagli" e alla riduzione dei trasferimenti, questa riguarda un complesso di prescrizioni che non producono nessuna economia per le amministrazioni pubbliche ma provocheranno paralisi e danni finanziari. Tra queste la più assurda è quella che impone a tutti gli enti pubblici o alle società partecipate un tetto di spesa del 20% nel 2011 per "mostre, pubblicità e congressi". Se questa norma, insieme alle altre dello stesso tenore, non verrà corretta entro pochi giorni Roma non avrà più mostre e non potrà più comunicare, in Italia e all'estero, nessuna delle sue attività, privando i cittadini di eventi di qualità, impedendo alle istituzioni culturali di svolgere lo scopo per cui sono state istituite e provocando una vera catastrofe sull'economia del territorio. Credo davvero che sia un dovere di tutti noi tenere viva l'attenzione su questa prospettiva per costringere il legislatore a rendersi conto di aver commesso una clamorosa "svista".

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