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Intellettuali a perdere

Andrea Camilleri

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Prima la passerella estiva dei festival di tutto (della letteratura, della filosofia, della mente). E ora che le città si sono riempite di nuovo, i palcoscenici dei teatri, degli auditorium. Come divi rock, sulla ribalta i soliti noti: da Augias a Erri De Luca. E infatti chi saranno i magnifici quattro che al Parco della Musica di Roma («tempio» della cultura-show stigmatizzata da Gianfranco Ferroni nel pamphlet «Scritture a perdere») animeranno altrettanti reading riscrivendo a modo proprio classici della letteratura? Elementare Watson: la compagnia di giro formata da Baricco, Camilleri, Benni, Eco. Eroi nazionali, osannati dalle folle (ma quanti non sbadigliano col narcisista Baricco, quanti capiscono Eco?). E tutti propensi ad apparire, specie a ridosso dell'uscita di un loro volume. Le quattro giornate all'Auditorium a prezzi popolari (5 euro per un'ora di lettura d'autore) sono un progetto editoriale promosso dal gruppo editoriale de l'Espresso. E sta qui il punto. La sinistra impone il proprio olimpo. Non governa, ma resta egemone in campo culturale. Perché ci sa fare, crea miti, eventi spesso minimi con risultati massimi. Per quale motivo resiste il predominio di quell'intellighentia che si è nutrita di Guttuso, di Moravia, di Pasolini, nomi ormai ossidati, e ora propone Baricco, Augias, Camilleri, debolucci ma applauditi appena respirano? Perché la destra non sgomita, non si propone, resta nel sottosuolo. Perché soffre ancora del complesso di inferiorità. Prendiamo il Premio Strega di quest'anno, il «fasciocomunista» Antonio Pennacchi.   Il suo romanzo, apprezzato da schiere bipartisan, solo perché si intitola «Canale Mussolini» non ha conquistato il primo posto nella hit dei libri. Lo ha superato «Acciaio», l'opera prima di Silvia Avallone, coraggiosa ma esile a confronto con l'epopea dell'Agro Pontino. Beh, Pennacchi (arrivato secondo al Campiello, finalista al Premio Acqui Storia) non conosce uditori oceanici. Tutt'al più è stato protagonista di un incontro con il pubblico a Latina. Succede poi che non solo il centrodestra non promuove gli autori vicini ai propri ideali, ma che alla fine gli stessi autori siano fagocitati dalla sinistra. «Il Secolo d'Italia» ha mai dedicato una pagina a Pennacchi? No. Piuttosto sdogana, mostrando ampiezza di vedute ma anche l'opportunismo della scelta che fa notizia, la generazione beat. Mentre «Limes», la rivista diretta da Lucio Caracciolo, dedica allo scrittore Premio Strega un intero numero. Del resto punti fermi della letteratura ma catalogati a destra sono stati per anni messi nel cantuccio. Pubblicati da editori coraggiosi ma di frontiera, mai lanciati con convinzione. Salvo poi «sfondare» negli ultimi anni anche tra i radical chic ed essere unanimemente riconosciuti nel posto che meritano. È successo con Ezra Pound, con Borges, con Pessoa, perfino con il poeta cattolico Thomas Stearns Eliot. Idem con il «fascista» Mishima, finito poi nei Meridiani Mondadori. Tolkien, lanciato in Italia da Rusconi grazie al fiuto di Alfredo Cattabiani, adesso è popolarissimo, in virtù anche alla saga cinematografica de «Il signore degli anelli». Furono solo le piccole edizioni de «Il Borghese» a credere nel filosofo rumeno Emil Cioran. E anche in Jünger, ora pubblicato da Adelphi. La casa di Roberto Calasso si è «impossessata» anche di René Guenon e di Evola, fino a poco tempo fa considerati degli «appestati». Confinati nella nicchia degli editori di destra, esaminati in sordina da qualche convegno Drieu La Rochelle, Céline, Elemire Zolla. Ma ora stanno nei cataloghi di Einaudi o de «Il Mulino». Il fatto è che oltre al senso di inferiorità, la destra fa l'errore di non coltivare l'autore, l'intellettuale. Pretende da lui una rendita politica immediata. Non lo fa crescere, in una parola non ci crede perché non vi legge un rapido ritorno in termini elettorali. La raffinatezza letteraria, l'anticonvenzionalismo, la profondità di pensiero, la modernità, il rigore scientifico non sono state per la destra virtù da portare alla ribalta. Invece, punta sull'emozione. Ha esaltato don Gelmini, oppure, con Storace, il medico anticancro Di Bella, il cui farmaco miracoloso illuse invano tanti ammalati. La cultura letteraria di Almirante si fermava a D'Annunzio. Non conosceva le avanguardie letterarie e artistiche. Si dirà: di acqua ne è passata sotto i ponti, l'assessore alla Cultura di Roma, Croppi, con la sua attenzione al contemporaneo lo ha dimostrato. Sì, ma certe sensibilità e iniziative sono ancora troppo isolate. A fronte di una sinistra che sforna star e vive ancora di rendita con Gramsci. È vero, ora ci sono «Farefuturo» oppure «Generazione Italia», fucine culturali nate a destra ancorché in trasformazione. Dunque sbilanciate troppo sull'elaborazione politica. E lontane dalle ribalte delle metropoli. Filippo Rossi, che cura il domenicale de «Il Secolo», guida anche «Caffeina», rivista con importanti collaboratori. Ma l'omonima kermesse si svolge in provincia, a Viterbo. In area di centrodestra, poi, ha cessato le pubblicazioni «Il Domenicale», diretto con valore da Lorenzo Crespi e sostenuto da Marcello Dell'Utri. Pochi finanziamenti, poca convinzione, pochi sponsor. Ecco perché fanno show i soliti noti.

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