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Una morte ancora avvolta nel mistero tra sospetti di suicidio e complotti

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Èun leit-motiv della mitologia rock: nessuno degli idoli può mai restare vittima di una circostanza banale che ne provochi il decesso. C'è sempre bisogno di un elemento oscuro, di qualche indizio che spinga i fans a credere che dietro la tragedia vi sia un complotto, un contesto omicidiario, una tresca per lucrare sul cadavere. La scena del delitto resta illuminata da una luce paranoide: quella che si conviene al riposo inquieto dei divi scomparsi troppo giovani, e misteriosamente: è accaduto per Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, Kurt Cobain, Michael Jackson. Tempo addietro mi capitò di parlare con Eric Burdon, il leggendario cantante degli Animals. Amico di Hendrix, partecipò al suo ultimo concerto al Ronnie Scott's di Londra, prima di essere svegliato, nel cuore della notte, da una telefonata di Monika Dannemann, la ragazza che era nel letto di Jimi. Lei gli raccontò con voce isterica che il chitarrista era morto, soffocato dal proprio vomito mentre facevano l'amore, e pregava Burdon di chiamare i soccorsi. La testimonianza dovrebbe eliminare alcuni dubbi sulla dinamica: si era ipotizzato che Hendrix fosse spirato in ambulanza, anche qui soffocato dai conati, perché gli infermieri non gli avevano messo supporti dietro la testa. Inoltre, era stato proprio Burdon, intervistato dalla Bbc quel mattino, a parlare di un possibile suicidio di Jimi: c'erano lettere allusive sul comodino. Restano anche i sospetti su una vendetta a suon di pillole ordita dal suo manager Michael Jeffrey, in odore di cacciata da Jimi. Hendrix, scomparso a soli 27 anni, sognava di evolvere la sua ricerca musicale verso uno stile totale, una fusione tra rock, jazz e psichedelia cosmica, simile per certi versi a quella di Miles Davis. Eppure, sembrava aver già scoperto tutti i segreti della chitarra: nessun assolo suonato da altre mani ha mai assunto il senso politico, artistico e sociale di quello improvvisato da Jimi sull'inno americano, nell'alba irripetibile di Woodstock, quando le sue note piovevano come bombe hippy sulla coscienza di un Paese torturato dall'evidenza del Vietnam. Nessun chitarrista ha saputo avvicinarne la grandezza. Se pensiamo ai pochi altri che hanno deciso la storia dello strumento nel rock, li scopriamo coetanei o quasi di Hendrix. Ciascuno con una propria cifra: il lirismo spaziale di Dave Gilmour dei Pink Floyd, la sacralità blues di Eric Clapton, la genialità di Frank Zappa, la potenza hard di Jimmy Page dei Led Zeppelin, la sensualità ritmica di Keith Richards degli Stones. L'ultimo ad aver mostrato un tocco originale è stato - senza essere un virtuoso - The Edge degli U2. Accadeva quasi trent'anni fa. Dopo, è stato solo rumore di fondo.

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