Tutto partì da Roma duemila anni fa
Quila risposta è semplice. Nel 1861, precisamente il 28 febbraio il Senato e il 14 marzo la Camera dei Deputati approvano il decreto di nascita del Regno d'Italia. Tre giorni dopo tale decreto è promulgato. Vittorio Emanuele II di Savoia assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia, e il fatto che mantenga la progressione numerica II e non assuma la qualifica di I, come pure taluno pretendeva, evidenzia sia la continuità dinastica e istituzionale sia il ruolo che il Regno di Sardegna ha storicamente avuto nella nascita del Regno d'Italia. Il nesso tra Regno d'Italia e Unità d'Italia, dunque, è geneticamente indiscutibile: senza il primo non ci sarebbe stata (non sarebbe giunta a piena maturazione) e non ci sarebbe la seconda. D'accordo. Ma cosa intendere per unità d'Italia? In altri termini, com'era e cos'era l'Italia prima del 1861? Cosa evocava il nome di Italia? E gli Italiani come si distinguevano, se si distinguevano, dagli altri popoli della storia europea e anche non europea? E da quando si può cominciare a parlare di un popolo italiano? E quali connotati e proprietà lo caratterizzano e individuano? E v'è differenza tra l'idea di popolo e l'idea di nazione? E se gli Italiani si riconoscono, e sono riconosciuti, come nazione, quando ciò comincia ad accadere? E su quali basi culturali e strutturali, simboliche e materiali? E in questo divenire, come si colloca la stagione storica cui si è giustamente attribuito il nome di Risorgimento? E quali sono stati i protagonisti – valori, credenze, istituzioni, movimenti, persone – che hanno condotto all'unità d'Italia? E come si specifica tale unità nel suo profilo organizzativo? Per rispondere fin d'ora all'ultimo interrogativo, dico subito che quando nei nostri tempi si parla di unità d'Italia, specificamente quando ci si riferisce al 1861, tale unità va letta come unità istituzionale della nazione italiana, e per unità istituzionale si deve intendere che l'Italia è divenuta uno Stato nazionale, più precisamente uno Stato nazionale a configurazione unitaria. La statualità, dunque, è il requisito cui rinvia la data del 1861. Il cammino per giungere a tale traguardo è stato peraltro assai lungo, tormentoso e tormentato, e nella presente sede basterà ripercorrerne le tappe essenziali, evidenziando soprattutto i problemi e gli snodi cruciali che di volta in volta si sono proposti sulla scena di una storia che degli Italiani ha fatto prima un popolo, poi una nazione, infine uno Stato nazionale. E il problema di partenza riguarda proprio l'inizio della vicenda degli Italiani come popolo italiano: in quale momento della storia collocare tale esordio? Ho dinanzi a me, sul mio tavolo di studio, la riproduzione di una moneta emessa nel 90-88 avanti Cristo dai Soci Italici, recante sul dritto la scritta Italia e un profilo femminile e sul rovescio una scena di giuramento. E allora domandiamoci. L'Italia e il suo popolo hanno il loro nascimento già nella e con la romanità, nella Roma come polis, come urbs dell'età regia e poi repubblicana, e successivamente nella Roma come metropoli di un impero a vocazione tendenzialmente universale? In verità, la moneta cui mi riferisco si iscrive nel periodo della cosiddetta “guerra sociale” che oppone gli alleati italici – i “soci” – a Roma, restia a conceder loro quei diritti che essi rivendicavano in virtù del contributo dato all'affermazione del predominio romano nel mondo: dunque, una stagione conflittuale (Italia contro Roma, e Italica viene ribattezzata la città di Corfinium, eretta a capitale degli alleati in rivolta), pur se ampiamente risolta nel 90 con il conferimento della piena cittadinanza agli Italici fedeli e nell'89 a quelli che si sono sottomessi. Insomma, al di là della testimonianza circa l'antichità del nome, del resto attestato già nel quinto secolo avanti Cristo, al di là della specifica circostanza storica cui la moneta ci rimanda, infine al di là del fatto che nel corso dei secoli i confini geografici e politico-amministrativi del territorio chiamato Italia sono più e più volte mutati, possiamo sostenere, come il miracolo del risorgimento pure talora è stato sostenuto, che già la storia di Roma sia storia d'Italia e del suo popolo, sia dunque storia degli Italiani? Senza dubbio, l'alba e soprattutto lo sviluppo del popolo italiano si richiameranno a più riprese, come vedremo, alla romanità e alla latinità quali elementi ispiratori di un profilo distintivo rispetto ad altri popoli, e avendo Roma al centro del loro presentarsi e plasmarsi gli Italiani potranno e vorranno in più passaggi del loro divenire rivendicare una sorta di primogenitura, meglio di continuità romana rispetto alle altre genti che percorrono le terre della penisola e in esse più o meno a lungo dimorano e anche comandano. Tuttavia, è poi un fatto che la storia di Roma è essenzialmente storia di una polis, di una città-comunità politica non identificabile con il popolo italiano, e poi storia di un impero a vocazione globale, nel quale del resto la provincia italiana tende a perdere progressivamente rilievo economico e politico rispetto alle altre province che lo compongono. Se, dunque, possiamo definire un'approssimazione per eccesso l'idea di un'Italia e del suo popolo che include la storia di Roma e con essa e a partire da essa prende le mosse, un'approssimazione per difetto va considerata l'idea che non sia possibile propriamente parlare di una storia d'Italia prima del 1861 o del 1870, perché prima di tale stagione non vi era lo Stato nazionale. Va da sé che straordinaria, incontrovertibile e definitivamente meritoria è la nascita del Regno d'Italia, Stato nazionale (con l'appendice ineludibile del 1870, di Porta Pia), per la storia finalmente unificata e unitaria del popolo italiano. Riconosciuto ciò, è però lecito chiedersi cosa abbia condotto a tale risultato, e se questo, lungi dall'essere un'improvvisazione di una storia senza radici e senza antenati, non sia invece il risultato, pure non definitivo e a rischio ricorrente di regressione, di un ampio e sofferto processo spirituale, ideale, culturale, materiale, in breve storico e di lunga lena, fatto di ascese e di cadute, di servaggi e di riscatti, che talora insensibilmente talora con accelerazioni repentine ha innervato in primo luogo la sostanza civile del popolo italiano e in secondo luogo la sostanza politica della nazione italiana, fino all'edificazione dello Stato unitario. In effetti, si può ragionevolmente affermare che la storia del popolo italiano inizia ben prima del XIX secolo. Quando? Non è facile, e non è neppure indispensabile, fissare con puntiglioso rigore notarile un terminus a quo. È un fatto, però, che il declino dell'Impero romano e le invasioni barbariche, cioè soprattutto delle tribù di stirpe germanica, danno luogo a una lunga, plurisecolare condizione di povertà, umiliazione, subordinazione, disgregazione, decadimento morale ed economico delle genti che abitano in Italia. Corruzione del clero e della gerarchia ecclesiastica, predominio di Goti, Longobardi, Franchi, ma anche Bizantini, spinte centrifughe nel nord della penisola verso l'orbita imperiale centroeuropea, nel sud peninsulare e insulare verso il mondo musulmano, ricorrenti conflittualità nel campo della feudalità, tumulti e rivolte in varie zone del territorio italiano, questo complesso di circostanze sembra condannare ad una eterna minorità le genti italiche. Tuttavia, nel trascorrere dei secoli XI e XII molti segnali danno il senso dell'affacciarsi alla storia di un popolo che inizia ad esprimere un suo profilo culturale e morale, il quale è insieme il frutto sia della persistenza di taluni fattori riferibili alla civiltà romana, passati indenni o senza profonde distorsioni e quindi sopravvissuti alle trasformazioni e alle tempeste di oltre cinque secoli, sia dell'emergenza di nuovi fattori sociali e civili che si presentano, si fondono e si saldano con i lasciti dell'epoca precedente. Così, la famiglia è ancora sostanzialmente legata alle consuetudini e ai rapporti giuridici riferibili alla romanità. Altrettanto può dirsi per gli istituti della proprietà privata, e si capisce che famiglia e proprietà sono due colonne portanti della società. Inoltre, ampiamente di tradizione romana rimane l'attitudine tecnica e tecnologica nei più diversi campi, dalle costruzioni, civili e religiose, alle strade, dalla lavorazione dei metalli alle tessiture: e tale aspetto vale specialmente in chiave di distinzione rispetto alle genti di origine germanica, calate nel Bel Paese dalle brume dei boschi e delle foreste. A ciò si aggiunga che la nascente lingua romanza, quella che di poi sarà definita “volgare”, passo dopo passo estenderà la sua influenza e vedrà registrato il suo uso crescente specie nella quotidianità dei rapporti interpersonali ma anche nelle arti poetiche e narrative, con un risultato che può apparire paradossale, ma che è tale solo apparentemente: perché per un verso il volgare, come lingua neolatina, ha nella romanità il suo terreno di incubazione e formazione, per un altro verso però esso sarà impiegato dal nuovo mondo sociale che si viene costituendo sulla scena italiana per differenziarsi dalla ufficialità dei linguaggi documentali e rituali riferibili vuoi al potere imperiale germanico vuoi al potere chiesastico, ancora e a lungo officiati in latino. D'altro canto, va inoltre messo nel conto che gli invasori, attratti dalla dissoluzione dell'Impero romano e pur provenienti dai quattro punti cardinali, erano in numero ridotto rispetto alla popolazione indigena della penisola. 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