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Da Bel-Ami al bell'Antonio Non è tutto oro ciò che luccica

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Inuna cena di sole donne, qualche sera fa, l'argomento di conversazione, neanche a dirlo, erano gli uomini. Ognuna delle commensali contribuiva con il suo bagaglio di competenze, conoscenze ed esperienze. L'occasione del dibattere, l'uscita per Albertocastelvecchi editore di un libro di Giusi Miccoli dall'inequivocabile titolo «Homo italicus - L'evoluzione della specie maschio italiano». Ovvero come sta cambiando il «mammome pastasciuttaro e pantofolaio», il cui mito, a detta dell'autrice, è al tramonto. Insomma per uscire dal tritume dei luoghi comuni e dalle solite classificazioni, dal cacciatore al vintage, dal collezionista al velocista, all'amico e al fricchettone, il gioco si orientava verso la ricerca dell'«eterno maschinino» (in realtà esiste solo quello femminino, inteso come l'insieme delle caratteristiche immutabili del fascino femminile) nei capolavori della letteratura di tutti i tempi. Un'impresa difficile perchè i tipi umani sono figli del tempo in cui vivono. Ma esistono però delle costanti che si ripresentano anche in epoche (e latitudini) diverse. A sorpresa, uno fra a tutti, il «Bel Ami» di Guy de Maupassant, un capolavoro del naturalismo francese dell'Ottocento scritto da un uomo, molto «dalla parte delle bambine» che andrebbe (ri)-letto con più attenzione dalle scanzonatissime e disincantate donne di oggi. Il protagonista George Duroy è il classico arrampicatore sociale, cinico e senza scrupoli. Sempre attento a cogliere l'attimo giusto, a intrufolarsi nel posto giusto, a sfruttare l'amicizia giusta che non è mai disinteressata. Il ragazzotto di bella presenza è affascinante e fa colpo sulle donne. Ed è proprio grazie alla debolezza di certe donne, tutte funzionali alla sua ascesa, che riesce a far carriera e trasformarsi da fatuo cronista di provincia a giornalista di alta finanza nella testata più prestigiosa della capitale francese. Allora in quanti Duroy ci siamo imbattute (e continuamo a farlo) nel nostro quotidiano? Guai ad innamorarsi di questi spregevoli individui che calpestano i sentimenti delle donne, giocano con le loro debolezze, seducono (per interesse, magari fosse cupidigia) e abbandonano senza pietà quando hanno raggiunto i loro scopi. Perfino Maupassant che per vocazione non parteggia mai per nessuno, ha qualche moto di stizza verso la sua creatura! E quale altro eterno maschinino esce dal cappello di un gruppo di signore smaliziate? Ancora un bellone, questa volta siculo, lo pseudo-sciupafemmine Antonio Magnano, il protagonista de «Il bell'Antonio» di Vitaliano Brancati (anno 1949). Ovvero la tragedia in chiave grottesca di un uomo piccolo-piccolo che nasconde un terribile segreto dietro il paravento di uno stereotipato e folkloristico maschilismo. Antonio è bello da morire con tutte le femmine ai suoi piedi e, soprattutto, la fama di grande amatore ma è afflitto da impotenza sessuale. Una vergogna, una iattura peggiore del contagio di una malattia venerea. Delizioso, ironico, persino umoristico è l'affresco corale imbastito da Brancati intorno al suo personaggio (che nel cinema è stato immortalato dal mitico Marcello Mastroianni). In una Sicilia cristallizzata e immota Antonio Magnano (baffuto come il Bel-ami di Maupassant) è un prototipo senza tempo. Attuale anche ai nostri giorni: sono tanti i fanfaroni che continuano ad essere smascherati dentro le camere da letto.

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