La strage di Nassiriya raccontata da Amadei
Nel2003, mentre partecipava a un film che si stava girando in Irak, venne drammaticamente coinvolto nell'attentato alla caserma del contingente italiano a Nassiriya, il 12 novembre. Unico civile sopravvissuto, ma in condizioni quasi disperate, dopo le prime cure in un ospedale militare americano, venne trasportato a Roma in quello del Celio dove, con una gamba menomata, affrontò un lungo periodo di convalescenza rifiutando quasi rabbiosamente la parte dell'eroe che la stampa e le autorità civili e militari tendevano ad affibbiargli. Dimesso, scrisse un libro, "Venti sigarette a Nassiriya", pubblicato da Einaudi, poi si decise a realizzare questo film chiedendo a Vinicio Marchioni, con un po' di teatro e televisione alle spalle, di trasformarsi nel suo alter ego facendoci vedere soprattutto attraverso i suoi occhi, in soggettiva, tutto quello che aveva subito e sofferto, anche se, date le circostanze, la sua permanenza in Irak era durata solo il tempo di fumare un pacchetto di sigarette. Le pagine più terribili sono quelle dell'attentato, dure, realistiche, con la macchina a mano che mette in fortissima evidenza il sangue, le conseguenze disastrose della bomba, prima lo sconcerto e gli interrogativi dei militari di fronte a quella situazione inaspettata, poi l'orrore, il dolore, l'arrivo delle prime ambulanze perché a qualcosa si riesca a trovar rimedio: con quella faccia del protagonista sempre in primo piano devastata dalle ferite e con l'idea che la morte ormai sia vicina. In seguito, nei vari ospedali, con l'avvicendarsi di parenti, di amici e di personalità, non tutto è così teso ed anzi rischia in più punti di cedere ad una aneddotica che, pur certamente desunta da situazioni autentiche, scivola un pò nel facile, specie quando la conclusione alterna la polemica a una cifra che, in seno alla famiglia, si avvia verso la possibilità di una pacificazione personale. L'impresa va accolta comunque con rispetto. Tra l'altro è raro che al cinema una storia sia rievocata, sia pure per interposta persona, da chi l'ha vissuta direttamente.