Con Verdi che show

Quantodista Mantova da Venezia? Centocinquanta chilometri, giù di lì. Ma il cinema in gondola e quello nel salotto di casa le fanno schizzare lontanissime tra loro. Agli antipodi. Il ragionamento viaggia sui due eventi-spettacolo del fine settimana. La Mostra del Cinema al Lido e il Rigoletto a Mantova, ovvero in diretta nei luoghi del Rigoletto. Che cosa rimandano le cronache dei giornali, la «piazza» del web, le facce dei cinefili? Insomma, che cosa ci dice il «graditometro», il sentiment dei destinari di cotanti show, insomma di noi tutti? Che il Festival è un mortorio, una noia, una delusione. E che il film-tv dell'opera di Verdi, diretto da Marco Bellocchio, con Placido Domingo buffone di corte, è visto e vitale. Insomma, in Laguna impera lo sbadiglio, il déjà vu dei divi sul tappeto rosso, dei buffet rinsecchiti dalla crisi, delle serate spompate, delle proiezioni a rischio pennichella. A Mantova tiene banco l'happening pop, trascina con baldanza lo zum-zum de «La donna è mobile», friccica il Rinascimento sete e sbuffi del melodramma del buon Giuseppe Verdi. Una sciccheria, nella città degli Estensi, tra Palazzo Te e la Rocca di Sparafucile. Un coinvolgimento popolare. Un'operazione tanto più complicata quanto più appassionante per i fans se ne stanno per ore attorno al set e per chi, in pantofole, guarda da casa. Un passaparola, il fascino dell'operazione di viale Mazzini. Una corazzata da vecchio grande cinema. Niente effetti speciali, ma un cast con Placido Domingo, Ruggero Raimondi, Vittorio Grigolo, un regista come Marco Bellocchio. E poi il mago delle luci Storaro, quello della bacchetta Zubin Metha. Un kolossal, come si dice. L'opera esce dal teatro, abbatte la quarta parete, canta en plein air. Cattura il bello della diretta perfino con una zanzara che si posa sul mento di Gilda mentre canta «Caro nome» e guai all'acuto se le fosse entrata nell'ugola. Tre appuntamenti, tanti quanti sono i tempi del melodramma dalla storia di Victor Hugo: sabato sera e ieri alle 14 e poi alle 23,30. Una full immersion finita sulle tv di 148 paesi, assorbita da un miliardo di persone. Benedetta dal messaggio del Presidente della Repubblica, accompagnata dalla mano paterna del presidente Rai, Paolo Garimberti. Sì, ci sono capitali, maestranze, camion, cavi, microfoni, casse nascosti dietro gli arazzi, nelle stanze affrescate di Palazzo Te, sugli sfondi di Palazzo Ducale. C'è la macchina complicata del cinema, che si muove sicura del ritorno economico. Ma c'è la convinzione di fare spettacolo attingendo al patrimonio nostro, alla cultura che tutti condividiamo. E non c'è l'inseguimento estenuante all'opera intellettualoide, quella che solletica gli equilibrismi mentali dei trinariciuti, dei radical chic, dei sofisticati. Per questo parecchie persone se ne sono andate via dall'umida, dalla scivolosa Venezia dove imperano i silenzi estenuanti del film di Sophia Coppola, la nuova faccia un po' lesbo di Catherine Deneuve, per non parlare di quella di Natalie Portman, etoile gay per ambizione. Stufe della solita solfa, le comitive di cinefili se ne sono salite in macchina e via, a Mantova, a godersi lo spettacolone, la vera passerella allestita da Andrea Andermann, il produttore del «Rigoletto» in tv. Gli è venuta nostalgia, a questa folla assetata di immagini memorabili, di certe Mostre del cinema durante le quali non si sapeva che film scegliere, tanto erano pietre miliari tutti. Prendete il magico 1983: gareggiarono la «Carmen« di Rosi, «Fanny e Alexander» di Bergman, «E la nave va» di Fellini. Sembra parlare di secoli fa, tanto ci siamo disabituati a nomi così grandi. Non c'è ricambio, non ci sono più veri registi? C'è che l'ispirazione viene meno negli ingranaggi delle convenienze politiche, dei messaggi da trasmettere per forza, dell'impegno ideologico a tutti i costi. L'altro scoglio è la guerra dei Festival. A Cannes, a Locarno, a Venezia si sono aggiunte le kermesse di Toronto, di Londra, di Roma. I direttori si contendono le pellicole. Piera Detassis ha fatto il giro del mondo per portare al Parco della Musica opere interessanti. Marco Mueller, per far dispetto alla Capitale, ha rastrellato per Venezia oltre venti film italiani. Ha preso tutto, senza distinguere tra belli e brutti. Così ci ritroveremo, ad esempio, il Risorgimento grigio e malinconico di Mario Martone, che si annuncia come un polpettone lungo tre ore e passa... Per fortuna che ieri, in Laguna, si è riso un po' con i cinepanettoni di De Sica e Boldi, sdoganati dopo trent'anni. Dice Christian: «Comicità volgare, ma abbiamo raccontato il Paese come tanti film autoriali. De Laurentiis, il produttore, sul set di "Vacanze di Natale" ci diceva: "Ragazzi, state a ffà na strunzata". E adesso che lo proiettano nientemeno che a Venezia che facciamo?».