Com'è triste Venezia con quei film noiosi
Deludeancora questa Mostra di Venezia criticata e sottotono a causa della crisi internazionale che ha colpito anche il cinema e dove non c'è traccia di capolavori, né piccoli né grandi. Come è accaduto per il film d'apertura, «Black Swan» di Aronofski, passando per il lento «Somewhere» di Sofia Coppola, fino a «Miral» del geniale Julian Schnabel che stavolta si è però lasciato troppo trascinare dall'ego della sua compagna, Rula Jebreal, che ha scritto il romanzo da cui è stato tratto il film. E ieri la scia soporifera è continuata con altre due pellicole in concorso che hanno lasciato perplessi pubblico e critica. I due film sembravano infatti dedicati esclusivamente ai cinefili, ma il pubblico certo non li ha graditi. Cominciando dal curioso «Meek's Cutoff» della regista Kelly Reichardt, western ispirato ai prigionieri di Guantanamo, con Michelle Williams (ex compagna dello scomparso Heath Ledger). Per finire con il difficile film cileno «Post mortem» (il titolo è già tutto un programma) di Pablo Larrain, che racconta la storia di Cornejo (Alfredo Castro), lavoratore in un obitorio dove batte a macchina i referti delle autopsie, compreso quello di Salvador Allende. Siamo nel 1973, Mario è un uomo triste, con un'auto triste che fa cene solitarie e freme solo per la ballerina Nancy, che scomparirà poi proprio nel giorno del colpo di Stato. A coronare la giornata è sbarcato sul Lido (nella sezione Controcampo) «20 sigarette» di Aureliano Amadei (da mercoledì distribuito da Cinecittà Luce), che ha raccolto 14 minuti di applausi, rendendo omaggio ai 19 italiani caduti nella strage di Nassirya. La vicenda è proprio quella del regista (interpretato da Vinicio Marchioni) che nel novembre 2003 era partito per l'Iraq a fianco del regista Stefano Rolla, rimasto ucciso nell'attentato. E subito si è aperta un'altra polemica: «Volete la notizia? - ha esordito Amadei - Mi è stato detto che recentemente persone vicine al Ministero della Difesa hanno chiesto ai genitori delle vittime di protestare per bloccare il film». Ma le sue parole sono state subito smentite da Marco Intravaglia, figlio del brigadiere Domenico, morto nella strage. E pure il produttore Claudio Bonivento ha confermato l'assenza delle ventilate ingerenze del Ministero della Difesa per bloccare il film nelle sale, sostenendo che Amadei è un bravo regista, «ma inesperto di pubbliche relazioni e non ha bisogno di sterili polemiche» per continuare con la sua carriera artistica. Se lo augurano tutti e nel frattempo si celebra il bel documentario di Gabriele Salvatores, «1960» (fuori concorso e dal 16 ottobre su Raitre) che racconta l'Italia del boom economico, «negli anni in cui la televisione raccontava bene il nostro Paese. C'era molta attenzione nel capire le cose. La tv era appena nata ed era una finestra sul mondo, quello che oggi sono Internet o Youtube. Era anche l'anno in cui venne inaugurato il consumismo, facendo nascere desideri inutili nelle persone. Due cose sono sempre servite a chi ha finora governato con qualsiasi colore: mantenere la paura e spostare sempre in avanti i desideri della gente». Salvatores, che è anche nella giuria presieduta da Tarantino, ha infine ricordato che «finita la Mostra comincerò a lavorare al copione di "Educazione Siberiana", tratto dal bestseller di Nicolai Lilin». A dare un tocco di colore in laguna è infine sbarcato Ligabue (per la terza volta alla Mostra) che stavolta ha presentato (fuori concorso) «Niente paura» di Piergiorgio Gay, dal 17 settembre al cinema. Il rocker di Correggio legge i primi 12 articoli della Costituzione e rievoca 11 delle sue più note canzoni che hanno ripercorso 30 anni di storia italiana, dalla strage di Bologna a quelle di Capaci e Via d'Amelio, con gli interventi - tra gli altri - di Margherita Hack, Carlo Verdone e Giovanni Soldini.