La Roma di Piranesi

«Ècosì pieno dell'aria, del cielo, del suolo di Roma, da ritrarla con prodigiosa fedeltà e da farla comparire come per incanto innanzi agli occhi di chi non l'ha ancora veduta». Ecco, nelle parole di un suo contemporaneo, l'innamoramento a prima vista per la Città Eterna del giovane Giambattista Piranesi, qui giunto a soli vent'anni al seguito dell'ambasciatore veneziano. E questa passione sarà talmente infuocata da dar vita ad una vera e propria Roma del Piranesi, analizzata, studiata, sognata, reinventata in una miriade di strepitose incisioni fra cui le magnifiche e grandi Vedute di Roma o le Antichità Romane. Eppure, anche se trascorse la maggior parte della propria vita nella Città Eterna, Piranesi volle sempre definirsi "Architetto Veneziano" o "Architectus Venetus", come del resto si legge nelle monumentali iscrizioni dei frontespizi dei suoi volumi di incisioni. E così pare più che legittima e azzeccata la bella mostra che a Venezia la Fondazione Cini dedica a Piranesi come evento collaterale della Biennale di Architettura. E non a caso, Michele De Lucchi, che la cura insieme ad Adam Lowe, definisce Piranesi "artista contemporaneo, multidisciplinare, nonché primo artista dell'era industriale". Insomma, proprio un bel tipo, geniale, anticonformista, utopico ma anche pragmatico, al tempo stesso architetto, ingegnere, designer ante litteram, archeologo, incisore, antiquario, restauratore d'antichità. Del resto, Piranesi amava l'immensità e le imprese grandi, quelle da far tremare le vene dei polsi a chiunque altro: «Ho bisogno di grandi idee, e credo che se mi si ordinasse il progetto di un nuovo universo, avrei il folle coraggio di intraprenderlo», amava dire senza temere smentite. E così l'immensità della Roma antica ma anche la necessità di tutelare la sua bellezza erano le sue magnifiche ossessioni. Con i quattro volumi di incisioni delle "Antichità Romane" Piranesi rivoluziona addirittura la storia dell'archeologia romana. Cerca di dimostrare l'assoluta indipendenza dell'architettura romana rispetto a quella greca sottolineando il suo legame con quella etrusca. E, con l'obiettivo di una ricostruzione completa della Roma antica, restituisce in una mirabile serie di piante topografiche l'immagine originaria della città, depurata dalle trasformazioni d'età medievale e moderna. Per moltissime e complesse ragioni Piranesi non riuscì quasi mai a realizzare i suoi progetti architettonici e rimase architetto solo "con le carte e l'acido". Con una magnifica eccezione, però, anche questa legata a Roma e all'appoggio di un "santo in Paradiso". Il suo sogno si realizzò con l'ascesa al soglio pontificio del veneziano Clemente XIII Rezzonico e così Piranesi poté elaborare progetti per due veri edifici, anche se ne venne realizzato solo uno: la ristrutturazione della piccola chiesa di S. Maria del Priorato sull'Aventino (1764-1766) con l'ingresso monumentale al complesso dell'Ordine di Malta che corrisponde all'attuale piazza dei Cavalieri di Malta, da alcuni studiosi definita l'ultima piazza barocca di Roma, con lo spazio cerimoniale delimitato da un basso muro su cui si stagliano steli, trofei ed obelischi carichi di simboli allusivi alle imprese militari e marittime dei Cavalieri. Nell'interno della chiesetta la solenne spazialità, l'esuberanza decorativa delle superfici e l'articolata volumetria dell'altar maggiore documentano la sua interpretazione visionaria dell'eredità barocca. Al contrario, l'ambizioso progetto piranesiano per la trasformazione del coro della Basilica di S. Giovanni in Laterano andò incontro a difficoltà insormontabili e rimase solo sulla carta. Con le sue incisioni Piranesi ha dato una visione di Roma che da secoli è entrata nell'immaginario collettivo. Era sì la Roma del Settecento, capitale cosmopolita del Gran Tour oltre che metropoli moderna ed ammirata in tutta Europa, ma era soprattutto la città dove si celebrava il trionfo ininterrotto della Classicità, pur ridotta in rovine dal potere del Tempo. Prima e meglio di chiunque altro, Piranesi aveva comunicato l'idea che la città antica viva in simbiosi con quella moderna pur sovrastandola e condizionandola. L'uomo del Settecento vi si aggirava inconsapevole e a proprio agio, ma sempre dominato da quella immensità archetipa e sublime. Teso sempre a pensare in grande, libero da ogni condizionamento dogmatico, Piranesi progettò anche una sorprendente infinità di oggetti (vasi, candelabri, teiere, sedie, ecc.) e soprattutto fantasiosi camini che andarono incontro ad uno strepitoso successo commerciale presso i suoi facoltosi clienti inglesi. Nella mostra della Fondazione Cini alcuni di questi oggetti sono stati effettivamente ricreati sulla base dei suoi progetti che elaboravano prototipi quasi sicuramente destinati alla produzione in serie. Visionario sì, ma anche col fiuto degli affari, quel diavolo di un Piranesi.