Un Caravaggio da Papa
Era il 1962 l'anno in cui iniziai le mie ricerche sul Caravaggio. Il fine cui aspiravo era l'approfondimento sulla conoscenza tecnica e, magari, rinvenire qualche incognita testimonianza sulle sue opere perdute. Sicché, con la presuntuosa volontà dei giovani, presi a setacciare sistematicamente ogni sacrestia e ogni remoto andito di Roma e del contado laziale, soprattutto lungo quel percorso che il Caravaggio, dopo l'omicidio in Campo Marzio del 28 maggio 1606, aveva intrapreso verso Sud: Zagarolo, Palestrina, Paliano. Sulla traccia di una copia della siracusana Sepoltura di santa Lucia segnalata da Roberto Longhi in un convento di Palestrina, da me identificato in Sant'Antonio Abate, nel 1965, nella relativa sacrestia, su indicazioni del parroco d'allora, don Raffaele Arnoni, scorsi quello che, restaurato e studiato con mezzi migliori, è oggi il San Gennaro decollato del Caravaggio databile al 1609, che restituito lo scorso anno, è degnamente esposto nel locale Museo Diocesano. Proveniente, come molti arredi della chiesa, dalla chiesa partenopea del Carmine Maggiore, era stato appeso in sacrestia e dimenticato. Il furto della cornice originale (di cui conservo le foto fatte nel '65), mi spinse a segnalare l'urgenza del restauro e della tutela del quadro che, non ancora assodatane la paternità caravaggesca che, tuttavia, era suggerita da antichi documenti e dalla potente invenzione del martirio, mi spinse a segnalarlo alla d.ssa Ilaria Toesca la quale, mi si era detto, essere responsabile di quel territorio. Quando, durante l'estate del 1967, ero in vacanza a Cori, i miei vicini di casa, sprovvisti di automobile, mi chiesero, qualora fosse possibile, di accompagnarli a fare visita a un loro nipote, fra' Pio Saccucci, che aveva da poco preso gli ordini e si trovava poco lontano, a Carpineto Romano, nel convento di San Pietro. Acconsentii di buon grado e il fraticello, appresi i miei interessi caravaggeschi, m'invitò a vedere un San Francesco in meditazione sulla morte che, per quanto sconciato dall'incuria e dalle ridipinture, esprimeva una composizione analoga a quella di una versione, allora accreditata d'autobiografia, ubicata nella sacrestia dei PP. Cappuccini in via Veneto. Pur non essendo possibile alcun giudizio sulla tela che avevo di fronte, era importante in quanto era la prima che riportava la complessa iconografia. La trafila svolta fu la stessa, ma la zona di Carpineto non dipendeva dalla dottoressa Toesca che, comunque, mi assicurò che avrebbe segnalato il quadro alla competente dottoressa Pace. A me è toccato il ruolo di Colombo, ad altri quello di Vespucci... Peraltro, ulteriori indagini hanno approfondito i contenuti tecnici dell'opera, a mio avviso dipinta in Sicilia, verosimilmente a Palermo, forse quale stendardo processionale della confraternita committente di San Francesco. A conferma la tecnica, a base di nero di bitume, peculiare degli anni meridionali del Caravaggio, nonché le radiografie che ne mostrano la mutazione in quadro «da stanza» quando intervenne la richiesta del cardinale Pietro Aldobrandini. Sono molti anni che il Comune di Carpineto chiede la restituzione del capolavoro che, oltretutto, attirerebbe un gran numero di visitatori nel piccolo centro. L'opposizione della Soprintendenza di Roma era incentrata sulla sicurezza e la conservazione che non erano garantiti. Nel 2006, il Comune, ha provveduto al restauro del Palazzo Aldobrandini che, adibito a Museo, sarebbe la sede naturale dell'opera. L'amministrazione aveva, oltretutto con dispendio di circa 6000 euro, provveduto, affidandosi al CNR, a un apparato espositivo e di garanzia. Un sistema sofisticato e di grande efficacia comunicativa. Tale apparato doveva, pertanto, essere considerato quale stabile cornice tecnologica delle sale che avrebbero ospitato il quadro non solo da oggi (e per mostrarlo domani a Sua Santità Benedetto XVI in visita alla città) e fino al 15 settembre, allorché il capolavoro dovrebbe tornare a Roma, in Palazzo Barberini, ma in via definitiva. Peraltro tale apparato è stato fatto smontare dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali in quanto reputato inidoneo ad accogliere l'esposizione che, con un copione ormai (dopo Varese e Lecce) inutile per gli studiosi, deviato e deviante per il pubblico, avrebbe esibito l'originale «San Francesco» del Caravaggio a fianco della copia dei Padri Cappuccini di via Veneto di Roma (!). Dopo l'inqualificabile sperpero di quarantamila euro (ché tanto è costato l'occultamento del «San Giovanni Battista» della Galleria Borghese nella chiesa di Sant'Erasmo a Porto Ercole, e poco conta se il finanziamento è stato dell'Eni), reso invisibile da un percorso allestito con veli e cortine, in una equivoca febbre da "caravaggite-fai-da-te", si disperdono denaro ed energie intellettuali a favore di chi? Non certo per allargare le conoscenze attorno al grande artista (finalmente morto nel 2010!) o per il pubblico. Cui prodest?