Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Pippo Franco: "È meglio ridere"

default_image

  • a
  • a
  • a

Paladino di una comicità romana elevata e chiave di lettura di valori universali, Pippo Franco ha appena compiuto settant'anni festeggiando proprio nella Capitale con una cena di famiglia in un buon ristorante. Nessun rimpianto lo tormenta mentre vive con passione un mestiere che gli permette di aiutare la gente a coltivare la propria anima. Dopo il romanissimo ruolo di Marchese del Grillo («il mio cavallo di battaglia», ricorda) sta preparando uno spettacolo di cabaret per il Bagaglino, una commedia musicale ambientata negli anni Trenta e alcuni recital dedicati all'arte. Come affronta il tempo che passa? Lo vedo come una realtà positiva: sono contento e grato di esserci. Ritengo che la vita mi abbia dato più dei miei meriti. Sento l'appartenenza al mio vissuto: dal passato a oggi, dai miei nonni ai miei amici. Ho la consapevolezza di aver raggiunto una posizione che mi consente di capire meglio quello ho conquistato o perduto. Non ho nostalgia della giovinezza: il Pippo Franco trentenne è una parte di me, ma lo guardo come un figlio perché non sono più io. Cosa auspica per il futuro? Per me stesso chiedo solo lucidità interiore. È la comunità a preoccuparmi di più. Sono nato in un mondo e mi trovo in un altro. C'erano ancora il muro di Berlino, due sole bombe atomiche e l'uomo che si interrogava sul retaggio della propria storia. Adesso fra Playstation e Grande Fratello, non puoi scrivere battute su D'Annunzio in quanto nessuno sa più chi sia. Dato che tutto è virtuale e telematico, io desidero lavorare affinché non muoia l'anima. Nella sua vita c'è un punto fermo? La passione per il mio lavoro. Si può cambiare tutto: nome, abito e perfino partito, ma non la propria naturale vocazione. Il mio scopo è tradurre in termini semplici discorsi complessi, ovvero incidere sul mio tempo attraverso il teatro. Mi impegno costantemente nel recupero della nostra storia dimenticata. Per esempio, in questi giorni sto presentando una sorta di processo alla Sindone nell'ambito di un particolare progetto scenico chiamato «Paragoni azzardati: l'arte di leggere l'arte». È un modo di sensibilizzare il pubblico su temi importanti. Non solo comico, dunque? Ogni strumento per rivolgersi al pubblico è lecito e adeguato se si è in buona fede e se si condivide un'esperienza con sincerità di pensieri ed emozioni.

Dai blog