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La leggendaria salita sull'Eiger nella Germania del Terzo Reich

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Un film sulla montagna. Il filone, nel tempo, si è venuto quasi esauriendo tanto che una delle sue ultime occasioni mi sembra risalire al '99, con un modestissimo film americano sul K2. Questo di oggi, tedesco, ma co-prodotto anche da austriaci e svizzeri, pur non essendo molto migliore, ha almeno il pregio di rifarsi a una storia vera, il tentativo, nel '36, di due alpinisti austriaci di scalare l'inviolata parete nord di una montagna nell'Oberland bernese, l'Eiger, che, curiosamente era già stata citata negli anni Settanta da un altro film americano, "Assassinio sull'Eiger", in cifre però soprattutto di spionaggio, diretto in modo scialbo da Clint Eastwood ma da lui interpretato con una tale baldanza da aver rifiutato, secondo le cronache dell'epoca, il ricorso alle controfigure in alcune (poche) scalate in cui si esibiva. Qui, invece, di scalate ce ne sono molte, tutte ovviamente difficilissime tanto che il finale è tragico, ma ci sono anche accenni vari alla cornice d'epoca, i nazisti, pronti, nell'eventualità di una vittoria, ad attribuirla al "genio germanico" e, stranamente, delle pagine mondane perché, proprio di fronte all'Eiger, c'è un albergo di lusso dove sono ospitati vari personaggi minori tra cui una donna che nutre sentimenti teneri per uno degli alpinisti. Ha diretto il tutto un tedesco di Monaco, Philipp Stolz, specializzato in video musicali, in cortometraggi e anche in regie liriche. Qui ha dato spazio, ovviamente, alle scalate per trarne il massimo dell'emozione possibile, specie quando la tragedia si prepara, ma, in omaggio al copione, si è anche soffermato sugli episodi mondani e quelli che coinvolgevano i cinici piani dei nazisti. Senza molto vigore, però, con risultati quasi soltanto esornativi. Gli interpreti si adeguano, specie quando si impegnano nelle tormente con scarponi e piccozze, piantando faticosamente chiodi tra le rocce. Uno è Benno Fürmann, già visto nel secondo "Heimat" di Edgar Reitz, l'altro, Florian Lukas, campeggiava un po' di sfondo in "Good Bye Lenin", di Wolfgang Becker. Alla figura femminile da vita Johanna Wokalek, senza grandi voli.

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