Pensiero speculativo e azione Totti è filosofo come Platone
Nonsi sono ancora diradati gli echi del Mondiale sudafricano ed il calcio già batte alle porte del nostro immaginario con le competizioni europee ed i campionati nazionali. Mi è capitato di chiedermi se è solo divertimento quello a cui assisto guardando una partita. Che il calcio e la speculazione filosofica sono molto più prossimi di quanto si possa immaginare, la prova ce la offre Giancristiano Desiderio con il suo saggio «Il divino pallone. Filosofia dei piedi da Platone a Totti» (Vallecchi, pp.303, 15 euro). E non solo perché ci racconta che Heidegger era un'eccellente ala sinistra o Derrida un buon centravanti o perché Camus giocava in porta se non proprio come Buffon da decente estremo difensore del Racing di Algeri; o perché ci ricorda che Sartre soleva dire che il calcio è la metafora della vita, mentre Merleau-Ponty applicava le categorie calcistiche per spiegare la sua fenomenologia e Wittgenstein, raccontava nelle sue memorie, di essere giunto alla svolta del suo pensiero assistendo ad una partita di calcio. Neppure per sogno. Desiderio sostiene che la distanza tra il pensiero (speculativo) e l'azione (sportiva), è tutt'uno, e lo dimostra in un gioco di rimandi che intriga per l'originalità dell'approccio al tema. Sicché, ad un certo punto, smarcandosi tra Garrincha e Derrida, Platini e Gadamer, Maradona ed Eraclito, Falcao e Nietzsche, il lettore si chiede se sta leggendo un libro di filosofia o un manuale di gioco del calcio. Se Heidegger scorrazzava all'ala sinistra e raccoglieva il fiato per fare gol all'Essere, Derrida "scoprendo" l'anima plurale del calcio scopriva anche la inevitabilità della "difference" e se Louis Antezana, "sconvolto" dal genio di Garrincha scriveva «Un uccellino chiamato Mané» nel quale spiegava il calcio con la filosofia e la filosofia con il calcio, Isaiah Berlin cercava di dimostrare come il calcio fosse una sorta di "dominio metafisico", si può anche sostenere che Beckenbauer, pur non essendo un filosofo di professione, di fatto lo è stato avendo usato i piedi piuttosto che il pensiero o, magari, come osserva Desiderio, con genialità prossima alla più sfacciata provocazione intellettuale, "perché ispirato da Friedrich Nietzsche ha fatto del corpo il suo organo di conoscenza". Provare per credere: ve lo ricordare Kaiser Franz della nazionale tedesca campione del mondo nel 1974? Se avete alle spalle un minimo di conoscenza filosofica che cosa vi ricorda quel suo incedere, quella sua intelligenza tattica, quella olimpica volontà di potenza inarrestabile? Un momento di grazia che gli eroi esiodei godevano in rare stagioni della loro esistenza: "La sua eleganza calcistica mette d'accordo Dioniso e Apollo, l'Essere e il Divenire, la volontà e la rappresentazione", osserva Desiderio. Se per comprendere a fondo, ben al di là cioè del gesto atletico, è utile ed opportuno ricordare Heidegger, è altrettanto necessario per penetrare la genialità di Diego Armando Maradona rifarsi a Gian Battista Vico. "La logica maradoniana è stata immortalata, nell'inconsapevolezza del fromboliere argentino, dal filosofo napoletano come 'logica poetica', non perché sia una logica fantasiosa, ma perché quando il mondo è fanciullo la storia degli uomini si crea prima con i sensi, la memoria, la fantasia, e solo in un secondo momento con il ragionamento, la filosofia, le accademie". Infatti, la fantasia, per Vico, "è un modo di vedere e fare il mondo": tale e quale a come Maradona ha visto e ha fatto il calcio. Maradona la fantasia al potere, gli occhi del fanciullo prodigioso che vedono ciò che pure al saggio sfugge: così avrebbe forse, sintetizzato Vico. E Pelé che cosa vedeva che altri non vedevano? "Forse non lo sapremo mai veramente bene", dice Desiderio. Ed ha ragione. Talvolta gli dèi appaiono sotto forme originali e vengono riconosciuti. Quando si incarnano, per il pur breve tempo della vita agonistica, in un calciatore, possono assumere le fattezze di una "perla nera" e vedere ciò che gli altri non vedono. Il gol di Pelé è eterno come l'essere di Parmenide, osserva Desiderio, perché dietro quel gol c'è un mistero che non è svelabile con gli arnesi della ragione. Attraverso la filosofia del calcio si può cogliere lo specchio della condizione umana, nel bene e nel male. Ed i suoi miti sono le metafore delle nostre intime rivincite contro un mondo che sempre più spesso ci è estraneo. Sul terreno di gioco c'è, insomma, la rappresentazione della vita che vorremmo fuoriuscita dalla divina caverna di Platone dove in un tempo remoto si giocò la prima partita tra gli uomini e gli dèi. C'è chi crede che finì con un pareggio.