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Romantiche donne inglesi e sensuali languori dannunziani

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C'ènell'aria una gran voglia di romanticismo. È un desiderio impercettibile e molto ben nascosto, come se un'assurda pudicizia impedisse di rivelarlo. E invece care ragazze non c'è niente di male, ammettetelo apertamente e andate subito a (ri)leggere «Orgoglio e pregiudizio» di Jane Austen. In libreria, ad esempio, c'è un'edizione Bur (Biblioteca Universale Rizzoli) del 2008 con introduzione di Melania Mazzucco. Del resto come si fa a non innamorarsi di Fitzwilliam Darcy (il «lui» protagonista e antagonista di un'altrettanto splendida «lei», l'indimenticabile Elizabeth Bennet)? È il classico principe azzurro che ogni donna pretende (o avrebbe preteso) di incontrare nella vita. In tante farebbero carte false per sapere qualcosa in più sull'affascinante gentiluomo di Pemberley. La Fitzwilliam-mania, come del resto la Janeaustenite acuta di frotte di lettrici di mezzo mondo ha dato, così, la stura alla produzione di una serie di ibridi dell'assurdo (editi da Tea in collana ad hoc) nei quali alcune autrici contemporanee (primeggia Pamela Aidan ma c'anche Carrie Bebris, Stephanie Barron e Laurie Rigler) con un volo pindarico s'immergono nell'Inghilterra dell'epoca Regency sulle orme di Elizabeth e Darcy come invisibili testimoni appena sbarcati dalla macchina del tempo. I titoli chiariscono il concetto: «Per orgoglio e per amore» oppure «Tra dovere e desiderio» o «Quel che resta» questi tre sono di Pamela Aidan. Improbabili resoconti, approfondimenti e vari dietro-le-quinte sugli eventi-clou della storia d'amore, dall'incontro celeberrimo di Darcy con la scontrosa Elizabeth, al ballo «campagnolo» organizzato da sir William Lucas. In realtà non apprendiamo molto di più sull'aspetto fisico di Darcy (la Austen ci dice solo che era alto, e questo ci basta) ma comunque possiamo sognare ad occhi aperti con le emozioni che l'incontro con Elizabeth scatenano su di lui, già innamorato perso. È paccottiglia la cui esistenza si giustifica solo in nome dell'idolatria che a distanza di due secoli ancora suscita il capolavoro. Ma il romanticismo è un po' sciapo se non viene insaporito con qualche manciata di sano nonché «decadente» erotismo. Una signora vicina d'ombrellone ha giustamente «rispolverato» la vecchia edizione Mondandori de «Il Piacere» di Gabriele D'Annunzio. Voluttuoso, sontuoso, per certi versi quasi stucchevole è il romanzo che immortala la torbida storia d'amore tra Andrea Sperelli ed Elena Muti. Ottima scelta, però la lettura de «Il Piacere» si gusta di più a Roma. I luoghi della Capitale fin dè siecle dove si svolgono le scene più importanti, volendo, si possono anche «toccare». Devo dire che fa sempre un certo effetto passare davanti a Palazzo Zuccari in via Gregoriana e immaginare che lassù, dietro alcune finestre oscurate da pesanti drappeggi si sono consumati gli epici amplessi dei due celebri amanti. Elena Muti, la summa della seduzione sessuale e passionale e Andrea Sperelli, esteta fino alla nausea, malato di sensualità, sedotto e giustamente abbandonato. Come non farsi ammaliare dal sottile gioco amoroso della vittima che si fa carnefice e viceversa. E poi da tutto il resto, lo «spirto» decadente e le accuratissime descrizioni, l'aria trasognata, il languore nostalgico di un mondo che fu e «che non colsi», atmosfere dorate come in un quadro di Klimt. È il Vate migliore, quello che non ci stanca mai.

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