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Quegli scrittori che sfidano Dio

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«Puòessere che il nostro ruolo su questo pianeta non sia adorare Dio, ma crearlo». Basterebbe questa frase di Arthur C. Clarke, lo scrittore di "2001, Odissea nello spazio", per fare luce sul pregiudizio critico che vede la fantascienza come un genere letterario di serie B. Non sono bastati quasi duemila anni di romanzi e racconti a far uscire dall'emarginazione critica il genere: sì, duemila anni. Nel secondo secolo fu il greco Luciano di Samosata il primo a immaginare, nel suo "Storie vere", un viaggio dalla Terra alla Luna, ben prima di Verne o della realtà dell'Apollo 11. In mezzo, in ordine sparso, "L'Orlando Furioso", la tecnocrazia della "Nuova Atlantide" di Bacone, i "Viaggi di Gulliver", le civiltà alternative ipotizzate nel Sei-Settecento dalle opere nate dalle penne di Cavendish e Mercier. Fino alla "Storia filosofica dei secoli futuri" di Ippolito Nievo, il "Frankenstein" di Mary Shelley, la "Macchina del tempo" di H.G. Wells. Percorsi nei labirinti della mente e dello spazio, tra avventura e incubo, con astronavi o sostanze psicotrope. Creare Dio: può essere stato questo l'ostacolo che ha impedito al pensiero fideistico-religioso dominante di accogliere la science-fiction come creazione artistica a tutto tondo. Perché nei viaggi interstellari e nella colonizzazione delle galassie contenute nel nostro inconscio non esiste il Padreterno preconfezionato dalla cultura ebraico-cristiana, ma Qualcosa o Qualcuno di estraneo alla rappresentazione ortodossa, un Dio che assume sembianze inaspettate e a volte per nulla rassicuranti. Niente barba bianca: magari Lui è l'Universo virtuale stesso, un concetto che sfugge alla nostra comprensione ma anche al controllo dei custodi delle Fedi. Da qui, forse, il sottile boicottaggio della Sci-Fi come unico ponte letterario in grado di riconciliare la tendenza umanistica con quella scientifica, dove il sogno di un poeta incontra l'ingegneria del futuro. È persino banale dover ripetere che i maestri della fantascienza siano spesso di gran lunga superiori - per invenzione scrittoria e per eloquenza - a tanti celebrati autori di romanzi «mainstream». E chi non li ha letti ne ha avuta conferma al cinema: per dirne due, con la saga di "Guerre Stellari" ispirata alla saga dell'Impero galattico di Asimov o con un capolavoro tecno-mistico come "Bladerunner" che affonda le sue radici in certe pagine di Philip K. Dick. Ma c'è di più: un valore-sociopolitico. Nella sua cosidetta "età d'oro", gli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, questo filone ha contribuito alla gestione della paura del "diverso": il comunista sovietico, il nero che cercava di emanciparsi in un cotè anglosassone ancora intriso di diffidenza. In epoca di guerra fredda, e nel momento in cui si moltiplicavano gli avvistamenti di Ufo, i libri e le riviste di fantascienza servivano anche per identificare un nemico, per misurarne la distanza e il potenziale distruttivo. Poi, con la corsa alla conquista dello spazio, mentre le Gemini e le Soyuz prendevano a inseguirsi nell'orbita terrestre, il genere entrò in crisi, diventò parodistico a uso televisivo ("Star Trek"), cercò nuove ambientazioni, si reinventò con una manciata di scrittori New Wave (su tutti, James G. Ballard) che contaminavano l'ossessione astrale con i temi della contestazione generale terrestre, dalle droghe all'esistenzialismo. Finché non spuntò il cyberpunk di William Gibson o Bruce Sterling: e qui - un paio di decenni fa - la fantascienza si sgancia dal futuro remoto e decrive ciò che scopriremo essere imminente: ecco Internet che spunta, prima di diventare un fenomeno globale, nel "Neuromante" di Gibson, ecco che gli scenari diventano quasi dei copioni per videogiochi sempre più sofisticati, ecco che la scrittura mantiene la sua altezza geniale senza perdere la cifra "pulp". Ecco la realtà, insomma. La fantascienza che ora smette di speculare sugli esotismi siderali perché trova i robot e l'uomo bionico a un passo da casa. Che rinuncia a "estrapolare" la visione del futuro per diventare quasi uno stile neorealistico. Il suo problema è che non può più contare sulla "sospensione della meraviglia" come nel suo periodo aureo. Nulla ci sorprende, ormai. O forse no. Provino a decriverci il volto del Dio che stanno creando, nel Ventunesimo Secolo.

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