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Andarsene.

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Portandosiappresso conoscenza, miti, libri. Via dalla Terra dove si sta stretti, si respira male, ci si scanna. Via in un altro mondo, lontano. Via, nel mondo vagheggiato da sessant'anni. Eccolo, Ray Bradbury. Compie 90 anni domenica prossima, Los Angeles - dove vive - lo festeggia per una settimana. Ma lui, lo scrittore profetico con la sua fantascienza, di questa terra che lo osanna, di questa America che sputa petrolio dal mare, non ne può più. Non gli piace la tecnologia senza ali, ridotta al gesto meccanico di spingere il bottone del cellulare. Diffida del pragmatismo includente di Obama. Non sopportava neanche l'altro presidente democratico, Clinton, disivoltamente chiamato «testa di c...». Dicono che Ray Bradbury sia cambiato. Che il regime oscurantista dipinto nel suo capolavoro, «Fahreneit 451», non è quello nazista, né quello comunista. Montag - il protagonista del libro, il pompiere che invece di spegnere incendi dà fuoco a tutti i libri che trova, perché nel posto in cui vive è vietato leggere, è vietata la civiltà - è il realtà al servizio della dittatura della tv, ha spiegato negli ultimi tempi il suo inventore. Insomma, il grande fratello catodico spegne la curiosità e l'ingegno. Tutti incollati davanti al piccolo schermo, senza pensare più. Ma quello che oggi chiede il venerando Bradbury è uguale a quanto disse a Oriana Fallaci, durante una intervista che alla giornalista toscana parve «una bellissima preghiera». Gli domandava perché - a partire da dai racconti di «Cronache marziane», uscite nel 1950 - immaginasse positivo il futuro sul pianeta rosso. E lui: «Per la stessa ragione che ci fa mettere al mondo i figli. Perché abbiamo paura della morte, del buio, e vogliamo vedere la nostra immagine ripetuta e immortale. Non vorremmo morire: però la morte esiste e, poiché esiste, partoriamo figli che partoriranno figli, all'infinito, e questo ci regala l'eternità. Non dimentichiamolo: la Terra può morire, può esplodere, il Sole può spegnersi, si spegnerà. E se il Sole muore, se la Terra muore, se la nostra razza muore con la Terra e col Sole, allora ciò che abbiamo fatto fino a quel momento muore. E muore Omero, e muore Michelangelo, e muore Shakespeare, e muore Einstein....Salviamoli, dunque salviamoci. Prepariamoci a scappare, scappiamo per continuare la vita su altri pianeti...». Emigrare nel cosmo, il medesimo input «filosofico» venuto nella recente intervista data da Bradbury al «Los Angeles Times». Il destinario è Barack Obama. «Dovrebbe annunciare che torniamo sulla Luna, preparare una base per lanciare un razzo in direzione di Marte, andare su Marte e colonizzare Marte. Quando saremo in grado di farlo, diventeremo eterni». Più o meno lo stesso messaggio - colonizzare il cosmo - lanciato dieci giorni fa dall'astrofisico britannico Stephen Hawking. Ma mezzo secolo dopo Bradbury. Il quale rilancia il tema forte anche dell'interesse immarcescibile per i suoi romanzi, veri e propri classici. «Cronache marziane» - con le scansioni dei capitoli che svariano dal dicembre 2001 all'ottobre 2026 - diventerà presto un film. Hollywood dopo Avatar ha ritrovato interesse per la fantascienza ed ecco che Fox ha acquistato i diritti dei racconti di Bradbury, peraltro al centro di una serie tv degli anni Ottanta. Insomma, il vecchio Brad ci crede al domani nello spazio. Al punto che vuole essere seppellito sul pianeta raccontato per tutta la vita. Meglio su Marte che in mondo ipertecnologico. Gli dà l'affanno perché vola basso. «Abbiamo troppi cellulari, troppo internet. Dobbiamo sbarazzarci di questi aggeggi», ammonisce. Un progresso che aliena e non educa. «Bisognerebbe prima istruirsi e crescere umanamente e poi pensare a utilizzare queste macchine per metterle al servizio della conoscenza - ama incalzare Bradbury - Invece quello che accade sempre più spesso è che il progresso diventa qualcosa di estremamente meccanico e non tocca l'anima, non tocca l'intelligenza». Guai poi alle diavolerie virtuali, guai agli e-book. Niente Kindle della Amazon, pollice verso per iPad della Apple. «Per tre volte - racconta - sono stato avvicinato da compagnie della Rete, che volevano mettere i miei libri su un lettore elettronico. A Yahoo ho risposto: rizzate le orecchie e andate al diavolo!». È pur che con Internet oggi praticare la censura - quella immaginata in «Fahreneit 451» - è più difficile. «Ma non credo - sostiene il buon vecchio Ray - che le biblioteche sparirano, così come non spariranno i libri. Non fanno parte solo della nostra storia, sono parte del nostro futuro». Vengono in mente certi passi di «Fahreneit», da leggere come aforismi. Ecco il protagonista, Montag. «Le cose che voi cercate, Montag, sono su questa terra, ma il solo modo per cui l'uomo medio potrà vederne il 99 per cento sarà un libro», gli dice qualcuno a un certo punto. Così alla fine l'incendiario delle pagine scritte scopre che nei libri v'è molta più vita di quanta non gliene offra la società in cui vive, un mondo controllato e artefatto, dove non c'è alcun spazio per il libero pensiero. I novant'anni di Bradbury sono dunque un mix di ribellione e di saggezza. Politicamente si mostra un po' anarchico. Per lui gli States «hanno bisogno di una rivoluzione. C'è troppo governo, oggigiorno, e dobbiamo ricordarci che il governo dovrebbe essere vicino al popolo, del popolo e per il popolo». Insomma, un Bradbury che vuole spazzare via del tutto l'equivoco secondo il quale quando ha scritto «Fahreneit 451» ha voluto condannare la censura governativa, o il senatore McCharty che quando uscì il libro stava dando agli Stati Uniti una delle pagine più nere della democrazia americana. Gli attacchi a Clinton, definito brutalmente «dickhead», lo scetticismo nei confronti di Obama e invece la foto soddisfatta con Bush e signora, quand'erano alla Casa Bianca, completano il quadro. Bradbury non si fa tirare per la giacca dai progressisti dell'ultim'ora. Meno che meno da Michael Moore, il regista dei docu-film contro George W. e l'11 settembre che parafrasa il titolo più celebre di Bradbury in «Fahreneit 9/11». Il signore della fantascienza guarda oltre. Molto più lontano.

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