Il genocidio nella Vandea uno sterminio ideologico
Nell'autunnodel 1793, il Comitato di salute pubblica, governato come il più temibile dei soviet supremi dalla lucida follia totalitaria del satrapo rivoluzionario Maximilien Robespierre (1758-1794) votò all'unanimità tre leggi che stabilivano l'annientamento fisico e possibilmente pure psicologico della cosiddetta Vandea Militare, una piccola regione dell'Ovest francese adagiata sul corso della Loira, rea agli occhi iniettati di sangue dei giacobini di essere cattolica senza sconti, fedelissima al re Borbone decapitato il 21 gennaio precedente e soprattutto cristallinamente controrivoluzionaria. Fu così che da quel momento e fino alla fine del giugno del 1794, quando finalmente Robespierre cadde in disgrazia, la Vandea venne percorsa dalle famigerate Colonne Infernali di Louis Marie Turreau de Garambouville, sei squadracce di tagliagole che si macchiarono del primo genocidio delle storia, compiuto in nome di rabberciate teorie malthusiane e forte della teorizzazione razzistica elaborata nei decenni precedenti (lo ha documentato lo storico francese Jean de Viguerie) dalla crème del pensiero illuminista. Non solo i combattenti in armi, ma soprattuto, per settimane interminabili, la popolazione civile inerme. Ebbene, di quel genocidio superato in assurdità solo dal "memoricidio" che ha espunto l'immane massacro dai nostri saperi - come bene afferma da anni lo storico di origine bretone Reynald Secher, autore del fondamentale «Il genocidio vandeano» (con una Prefazione di Pierre Chaunu e una presentazione di Jean Meyer, trad. it., Effedieffe, Milano 1991) che ha rotto il muro di omertà su quei fatti tragici - c'era riprova coeva da che il protocomunista Jean-Nöel "Gracchus" Babeuf (1760-1797) ne scrisse inorridito in un pamphlet populista riscoperto fortunosamente in anni recenti, «La guerra di Vandea e il Sistema di Spopolamento» (introduzione, presentazione, cronologia, bibliografia e note di R. Secher e Jean-Joël Brégeon, trad. it., Effedieffe, Milano 1991). Ma ne esiste anche prova empirica. Ecco quindi che il rinvenimento, oggi, di fosse comuni nei luoghi notevoli della lunga guerra che oppose vandeani e giacobini testimonia incontrovertibilmente quel che già gli storici conoscevano da tempo. Di ritrovamenti tristi ma importanti così si ha notizia oramai da parecchio, in particolare per quanto riguarda i dintorni di Le Mans dove il 12 e 13 dicembre 1793 fu combattuta una violenta battaglia durante una delle fasi più tragiche dell'intera guerra. Le notizie dei primi ritrovamenti risalgono a un paio di anni fa, quando anche in Italia se ne udì l'eco. Ora però, dopo mesi di scavi accurati, l'orrore si rivela in tutta la sua portata. Per una volta, l'archeologia documenta infatti materialmente i misfatti delle ideologie. Elodie Cabot, antropologa alla guida di una équipe di lavoro del prestigioso Istituto Nazionale delle Ricerche Archeologiche Preventive di Parigi, ha infatti portato alla luce nove fosse comuni colme di centinaia di scheletri che, afferma la studiosa, recano tracce di ferite "da arma bianca al cranio e agli arti" nonché segni di un "accanimento feroce". I corpi degl'insorgenti antigiacobini massacrati, ma anche quelli di donne e bimbi colpevoli solo di appartenere alla "razza maledetta" vandeana: numerosi scheletri rinvenuti sono infatti di piccoli di 12 o 13 anni al massimo. Si calcola del resto che la cauterizzazione giacobina della Vandea comportò 350mila morti, di cui 5mila solo a Le Mans. Le solite magnifiche sorti e progressive del mondo moderno insomma.