La mummia del comunismo
Ognuno è certamente padrone di festeggiare il suo compleanno come vuole. Fidel Castro, che di anni oggi ne compie ottantaquattro, ha deciso di farlo rovesciando sui cubani, al prezzo di 22 dollari l'una, sessantamila copie di un librone di 900 pagine. Che egli ha scritto tra una terapia e l'altra cui è sottoposto per un tumore diagnosticato nel 2006. È la sua nuova autobiografia, inneggiante a "La vittoria strategica" della lotta da lui condotta dal 1956 al 1959 contro il regime di Fulgencio Batista. Con tutti i problemi che hanno, e dai quali forse speravano di poter uscire liberandosi di Castro, i poveri cubani non troveranno certamente sollievo nel mattone cartaceo di quello che si sente ancora un mito vivente. Tanto meno si sentiranno consolati dall'annuncio che questo librone non potrà esaurire la loro pazienza. Seguirà infatti un altro librone sulla seconda parte della vita di Castro, quella successiva alla vittoria su Batista. Saranno almeno altre 900 pagine. E non è detto che basteranno. Dopo averli condannati per decenni a sentire i suoi interminabili discorsi, di quelli che dalle nostre parti si facevano nelle aule parlamentari solo nelle maratone ostruzionistiche mettendo a dura prova le vesciche, Castro ha deciso di condannare i sudditi alla sua altrettanto interminabile scrittura. Non avendo più forza nella voce e nei polmoni, il mito ha ripiegato sulla penna. C'è qualcuno tuttavia che mi fa ancora più pena dei poveri cubani costretti a leggersi le memorie del loro sfinito dittatore, quale deve considerarsi Fidel, nonostante il credito che riuscì a guadagnarsi, o le speranze suscitate in Patria e all'estero, con la visita di quel sant'uomo di Giovanni Paolo II a Cuba nel 1998. Più dei cubani, costretti a sorbirsi uno degli ultimi, se non l'ultimo regime comunista di vecchio stampo, a quasi vent'anni di distanza dalla caduta del muro di Berlino, dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica e dalla certificazione del fallimento del comunismo, mi fa pena quella parte della sinistra italiana, politica e intellettuale, che continua a pascersi del mito di Fidel Castro e di quella prigione che per molti è rimasta la sua isola sotto la guida formale del fratello. Mi fanno pena insomma i castristi cubani di casa nostra. Ma ancora di più quelli che a sinistra non sono capaci di disfarsene ritenendoli utili alle armate Brancaleone contro Silvio Berlusconi. È proprio di questi giorni, anzi di queste ore, l'occhio che il presunto segretario moderato del principale partito di opposizione, Pier Luigi Bersani, strizza anche ai castristi nostrani per allestire una coalizione da opporre al Cavaliere in caso di elezioni anticipate. Così viene riesumata, e persino proposta a Pier Ferdinando Casini e ai più spregiudicati degli amici di Gianfranco Fini, la fallimentare Unione guidata nelle penultime elezioni da Romano Prodi. Che fu penosamente costretta dopo la rocambolesca vittoria elettorale del 2006 a reggersi per due anni sulle stampelle dei senatori a vita, fino a quando non affondò nei guai giudiziari della famiglia del guardasigilli Clemente Mastella. Una sua riedizione non avrebbe destino migliore. Ma potrebbe rifarsi con la seconda parte della nuova autobiografia di Castro, dopo avere tratto dalla prima qualche ispirazione per il suo programma, articolato magari in 900 punti. La sintesi, come si sa, non è il requisito delle compagnie pasticciate, che si perdono prima nelle parole e poi nell'anima.