La fede allunga la vita
AndreaGagliarducci La tua fede ti salverà. Chiunque sia il Dio in cui credi. Lo dice uno studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa e del Centro Trapianti di Fegato dell'università della stessa città, diretti dallo psicologo Franco Bonaguidi, pubblicato sulla rivista Usa Liver Transplantation. Dati alla mano, la fede, dopo un trapianto d'organo, può aumentare le possibilità di sopravvivenza. L'obiettivo della ricerca era comprendere se c'era un rapporto tra religiosità del paziente e la sua guarigione dopo un trapianto al fegato. Così, è stato somministrato a 179 malati un questionario sulla religiosità. I pazienti sono stati seguiti per quattro anni dopo l'intervento. «I risultati - commenta il Cnr - dimostrano l'ipotesi che la fede in Dio è associata in modo significativo con la sopravvivenza». Di più, dopo l'intervento, «l'avere fede in Dio promette un vantaggio non da poco: all'incirca triplo, calcolano gli scienziati. Dai dati emerge infatti che chi non crede all'esistenza di un'entità superiore, nelle cui mani potersi abbandonare, ha un rischio di mortalità post-trapianto tre volte superiore». Non è la prima volta che uno studio si interroga sul tema. La rivista "Psychology and Health", nel febbraio 2010, dimostrava che la religiosità porta ad una riduzione della mortalità generale; e ad agosto 2010, sulla rivista "Biology of Blood and Marrow Transplantation", psicologi Usa dimostrarono come l'assenza di spiritualità aumenta il rischio di morte dopo il trapianto di cellule ematopoietiche. La ricerca italiana aggiunge un confronto tra religiosità attiva e passiva. Il risultato è sorprendente: solo la religiosità attiva porta a un esito positivo della malattia. E questo nonostante i pazienti del primo gruppo fossero più anziani degli altri, dunque meno reattivi e forti. La ricerca di Pisa dimostra come l'uomo trovi nella ricerca del trascendente non un ostacolo, ma una marcia in più. Ci sono già studi che mirano a misurare gli effetti sulla salute delle preghiere di intercessione (Intercessory prayer for the alleviation of ill health, del "Cochrane Database of Systematic Reviews" del 2009). Qui si dividono a caso i pazienti in modo che solo alcuni selezionati ricevano le preghiere e altri no, per vedere quali ottengano un maggiore beneficio per la propria salute. Al di là dei risultati di queste indagini, resta il dato che la fede permette di affrontare meglio le malattie. Anche a chi sta vicino al malato. È successo ad Antonio Socci, giornalista, che ha vissuto il dramma di una figlia in coma e che si è affidato, dal blog, alle preghiere dei lettori.La figlia è uscita dalla fase critica.