Marx coerente. Morì povero
Il Vittoriale, che ora si apre alle visite degli operatori turistici, era più costoso di una reggia. La cittadella-museo di Gabriele D'Annunzio - un monumento alla prosopopea del Vate sullo sfondo lussureggiante del Lago di Garda - tra giardino, sale, arredamenti, richiedeva un cospicuo gruzzolo per il solo mantenimento. Così l'Immaginifico, che aveva acquistato la Villa (chiamata di Cargnacco) nel 1921 per 130 mila lire avute in prestito da una banca, pensò bene quattro anni dopo di donarla agli Italiani. Continuerà ad abitarci, ma avrà così un contributo pubblico, dallo Stato fascista, da destinare alla cura e al restauro della pretenziosa magione. Un lascito furbo. Il rimanente delle ricchezze venne dai diritti d'autore. Cospicui, perché D'Annunzio riuscì, da vivo, a farsi pubblicare l'opera omnia. E utilizzò gran parte delle royalties per ripianare il suo mare di debiti. Del resto i testamenti dei grandi parlano meglio di qualsiasi altro documento della personalità del de cuius. È dell'altro ieri la notizia - pubblicata dal Corriere della Sera - che Giorgio Amendola, il dirigente comunista, fu censurato da Botteghe Oscure proprio nell'ultima lettera. Che non conteneva manifesti politici ma solo e soltanto un inno d'amore alla moglie Germaine. Troppo «intimista», troppo disinteressata alla ragion di partito per essere resa pubblica. Invece, ovviamente, di Lenin si conosce soltanto il testamento politico, ovvero la lettera dettata alla sua stenografa Maria Volodicheva nel dicembre 1922. Conteneva, tra l'altro, la richiesta al Congresso di silurare Stalin, «troppo grossolano». Un documento top secret fino al 1956, allorché Krusciov lo rese pubblico. Solo politico anche il testamento di Mussolini, in realtà un'intervista a Cabella. Il Duce non doveva possedere granché. Dell'oro di Dongo ancora si favoleggia. Certo solo un possedimento, la rocca delle Caminate a Predappio. Un bene di famiglia. Singolare anche la fine patrimoniale di un altro volto del periodo fascista, Marinetti. Il fondatore del Futurismo, famoso per essere milionario, si svenò per sostenere le imprese del movimento. Morì nel dicembre del '44 in una delle due stanze dell'Hotel Spendid - a Bellagio, sul Lago di Como - che occupava con la moglie e con le figlie. Gliele pagava Idaka, ambasciatore del Giappone, pieno di premure per la signora Marinetti. Di molti altri grandi nati o vissuti Oltremanica svela ora un sito web inglese, Ancestry.co.uk, che ha messo on line sei milioni di testamenti di personaggi vissuti tra il 1861 e il 1941. Si scopre così che Karl Marx fu coerente con le sue idee. Quando morì, nel 1883, lasciò in eredità alla figlia Eleanor 250 sterline (pari a circa novemila di quelle attuali). Ben altro il lascito di Charles Darwin: l'artefice della teoria dell'evoluzionismo era proprietario di un patrimonio stimabile attorno alle 146 mila sterline, circa 13 milioni di quelle attuali (15,5 mln di euro). Consistente anche il gruzzolo finale di Charles Dickens, deceduto nel 1870: 80 mila sterline, equivalenti a sette milioni di quelle di oggi (8,3 mln di euro). Il testamento dello scrittore scozzese Arthur Conan Doyle rivela invece che il «papà» di Sherlock Holmes, quando morì nel 1930, lasciò ai propri discendenti poco più di 63 mila sterline, tre milioni delle attuali (3,6 mln di euro). Meno sostanzioso il patrimonio di Lewis Carroll, autore di «Alice nel paese delle meraviglie» deceduto nel 1898 con un capitale attorno alle quattromila sterline, equivalenti a 450 mila sterline di oggi (538 mila euro). L'esploratore Ernest Shackleton perse gran parte della propria fortuna a causa di investimenti finanziari andati male: morì nel 1922 con un patrimonio di 556 sterline (20 mila odierne). E Neville Chamberlain, primo ministro del Regno Unito dal 1937 al 1940 (anno del decesso), lasciò 84 mila sterline (quattro mln di quelle di oggi, pari a 4,78 mln di euro).