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Politica vs vacanze: quando crisi e rimpasti arrivano a Ferragosto

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Pietro Nenni, padre del socialismo italiano, nel 1964

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Dovrei fare causa alla politica per quante vacanze estive mi ha rovinate in più di 50 anni - ahimè - di professione giornalistica. Nonostante la capacità comunemente attribuita al "generale Agosto" di saper risolvere o allontanare conflitti, risse, tensioni e quant'altro, l'estate è la stagione meno propizia alla quiete e persino alla salute dei politici, e di chi deve seguirne l'attività. Il 21 agosto del 1964, per esempio, morì lo storico segretario del Pci Palmiro Togliatti, colpito da un ictus mentre trascorreva le sue vacanze in Crimea, ospite dell'Unione Sovietica. Cronisti e analisti politici che erano appena andati in ferie in ritardo per altre complicazioni, come vedremo, furono richiamati in servizio dai giornali per seguire la situazione interna del principale partito d'opposizione e le sue ripercussioni su un quadro politico già disturbato. In quella torrida estate del 1964, infatti, cadde il primo governo "organico" di centro sinistra guidato da Aldo Moro, inciampato nel finanziamento della scuola privata. Una parte della Dc, sperando nell'aiuto del presidente della Repubblica Antonio Segni, cercò di cogliere l'occasione per interrompere l'alleanza con il Psi, anche a costo di sfidare disordini, da cui il capo dello Stato ritenne di doversi cautelare convocando ufficialmente al Quirinale il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo. Che predispose un piano di possibili misure straordinarie avvertito da molti, quando ne vennero a conoscenza, come un progetto di colpo di Stato. Il vice presidente del Consiglio Pietro Nenni scrisse in quei giorni nei suoi diari di "un rumore di sciabole" per spiegare le ragioni dell'ammorbidimento dei socialisti nella trattativa con la Dc per la prosecuzione dell'alleanza. La crisi, risolta il 22 luglio con la formazione del secondo governo Moro, ebbe una coda drammatica il 7 agosto al Quirinale, dove il ministro degli Esteri Giuseppe Saragat reagì assai duramente alle proteste formulategli da Segni per non avere inserito un ambasciatore da lui segnalato in una lista di nomine in procinto di essere disposte dal Consiglio dei Ministri. Saragat gli gridò in faccia: "Ora basta. Ce n'è abbastanza per deferirti all'Alta Corte per quello che hai fatto durante la crisi". L'Alta Corte era naturalmente la Corte Costituzionale, competente a giudicare il capo dello Stato se messo in stato d'accusa dal Parlamento per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. Segni sbiancò, mormorò qualcosa di indecifrabile e si afflosciò a terra privo di sensi. Moro, presente all'alterco, tentò inutilmente di rianimare il presidente rassegnandosi alla fine a chiamare personalmente i commessi. I bollettini sulle gravi condizioni di salute di Segni si sovrapposero ad un certo punto alle notizie da Yalta sulla morte del capo dell'opposizione. Seguirono a fine anno la certificazione sanitaria dell'ormai irrecuperabile impedimento del capo dello Stato, le sue dimissioni e l'elezione del successore. Che fu proprio Saragat, con un'operazione politica fortemente voluta da Moro, nonostante l'incidente d'agosto, nella speranza di rafforzare il centro sinistra. Sempre in piena estate, quattro anni dopo, la politica italiana appena andata in vacanza con il solito governo "balneare" del buon Giovanni Leone, chiamato a fare da cuscinetto fra il centro sinistra di Moro e quello di Mariano Rumor, entrò in forte fibrillazione. A provocarla furono, nella notte fra il 20 e il 21 agosto, l'invasione sovietica di Praga e la conseguente fine dell'esperienza politica di Dubcek, che aveva tentato in Cecoslovacchia l'impossibile socialdemocratizzazione del comunismo. Il Pci non ricadde nell'errore di dodici anni prima con la rivolta di Budapest, quando aveva appoggiato la repressione armata dei sovietici perdendo per strada un po' di dirigenti e militanti. Questa volta esso criticò i sovietici senza mezzi termini, ma non ebbe il coraggio di manifestare sino in fondo la solidarietà a Dubcek, e soprattutto ai dirigenti cecoslovacchi fuggiti dal loro Paese per bussare alla porta di un Pci che prevedevano ospitale. La trovarono invece sbarrata. Nel Partito Socialista allora unificato, ma deluso dai risultati delle elezioni politiche svoltesi in primavera, qualcuno pensò di profittare delle difficoltà del Pci, che in quelle elezioni si era invece rafforzato. Ma l'unico modo in cui si poteva cercare di trarne profitto era il ricorso a nuove elezioni: una tentazione che Saragat al Quirinale avvertì, ma solo per qualche giorno. Si trattenne alla fine di fronte all'enormità di nuove elezioni a pochi mesi dall'insediamento delle Camere. Ebbene, per seguire e coltivare quella tentazione il direttore del giornale in cui lavoravo mi tirò giù dal letto delle vacanze e mi ordinò di tornare immediatamente a Roma. Vi arrivai più arrabbiato che fiducioso. Fu modesta la soddisfazione che mi tolsi allo sfiorire rapido dell'ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere, avvenuto sì in anticipo rispetto alla scadenza ordinaria, ma solo dopo quattro anni contrassegnati da una lunga serie di crisi di governo, da una nuova scissione socialista, peraltro avvenuta anch'essa in estate, quella del 1969, e dall'inizio della stagione delle stragi con i 17 morti nella sede milanese della Banca Nazionale dell'Agricoltura. D'estate, nel 1976, ma a ferie per fortuna non ancora iniziate, per cui salvai le vacanze, decollò la segreteria socialista di Bettino Craxi. Alla quale molti, quel 16 luglio all'Hotel Midas di Roma, dove Bettino appunto fu eletto in sostituzione di Francesco De Martino, preconizzarono vita breve e incerta. Cominciava invece una fase nuova e per niente breve della politica italiana. Fu sempre d'estate, due anni dopo, nel 1978, che Craxi con un saggio intitolato "Il Vangelo socialista", affidato in agosto all'Espresso, decise di "tagliare la barba a Marx", come sulla Repubblica gli rimproverò Eugenio Scalfari. Che preferiva evidentemente il leninismo appena rivendicato orgogliosamente per la sinistra da Enrico Berlinguer. Sempre d'estate, l'anno dopo, Craxi procurò brividi di paura alla sinistra democristiana e all'opposizione comunista con l'incarico, conferitogli a sorpresa dal presidente della Repubblica Sandro Pertini il 9 luglio, di formare il governo. Dopo due settimane egli fu costretto a rinunciare, ma il suo appuntamento con Palazzo Chigi fu solo rinviato. Egli vi arrivò nel 1983. E l'anno dopo Berlinguer ne morì, colto da un ictus durante un duro comizio contro il governo. Si era sulla soglia dell'estate del 1984: l'11 giugno. Ma sempre d'estate, due anni dopo, Craxi ebbe il primo avviso di sfratto democristiano da Palazzo Chigi con una crisi che ne ritardò l'allontanamento solo di qualche mese. Le estati politiche della seconda Repubblica non mi sembrano più distensive o meno insidiose della prima, anche se Giorgio Napolitano ha cercato di infondere un po' di ottimismo evitando di ritardare la sua partenza per le meritate vacanze a Stromboli. Ai piedi di un vulcano.  

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