I nuovi gladiatori
No, i girotondi no, neanche se lo scenario fosse piazza Navona, col barocco di Sant'Agnese e della fontana dei Fiumi. No ai girotondi perché l'innesto intellettual chic (tipo Nanni Moretti o professor Pancho Pardi) non s'addice alla causa. Però la voglia di affermare una volta per tutte che cosa significa essere romani c'è, ed è tanta. Sicché all'idea lanciata provocatoriamente da Lando Fiorini - creiamo un movimento dei romani che abbia per numi tutelari da Belli a Trilussa a Petrolini e alla Magnani - si agganciano volentieri altre facce della scena teatrale capitolina, altri istrioni che hanno cominciato con la parlata trasteverina e che hanno volato alto. Con dei distinguo, ovviamente, con più bonarietà rispetto ai «furori» di Fiorini. Ma cantandole comunque a chi continua a sparlare della Caput Mundi e dei suoi cittadini veraci, apostrofati sbrigativamente «coatti». Chiamiamoli gladiatori, i possibili adepti all'ideale movimento per Roma. Usano l'arma dell'ironia, del sorriso al posto degli spadoni alla Charlton Heston. Però la battuta resta puntuta e lungimirante. E fa più effetto di una sciabolata. «Basta con questa solfa di Roma ladrona e dei romani indolenti e coatti». Sbotta Gigi Proietti che risponde affannato al cellulare. Ha appena messo piede nella sua casa delle vacanze, a Ponza, un'abitudine che dura da trentacinque anni. Ma il contraddittorio ai luoghi comuni nordisti lo stuzzica comunque. Lui ha nelle vene, nella mente, nella lingua le parole di Petrolini, la smorfia di Chicchignola, il gesto lento di Gastone. Lui ha lanciato due posti emblematici della città, il Teatro Brancaccio, nel cuore dell'Esquilino di gaddiana memoria, e il Globe Theatre di Villa Borghese, meta dell'estate romana. S'infervora: «Ma mi spiegate perché si danno giudizi non richiesti? Mi trovate chi ha mai interpellato i lumbard per sapere come valutano noi di Roma? E a noi di Roma che ci interessa di soppesare che so? i Bergamaschi, i Varesini? Mai ci verrebbe in mente di attaccarli. Abbiamo i nostri problemi, quelli del Nord i loro. Possiamo tranquillamente convivere nello Stivale, o ignorarci. E quando operiamo bene non ci incensiamo, cullandoci nel quanto siamo bravi. Non abbiamo bisogno di difenderci perché la Capitale si difende da sola». E il ritornello di Roma ladrona? «È una frase fatta che non ha senso. Chi la pronuncia non ce l'ha con i cittadini, ma con il Palazzo. Il fatto è che al potere, da quindici anni, non ci sono più i buoni quiriti ma quelli del Nord. Che però non sanno fare autocritica e allora si servono di giudizi non richiesti per fare propaganda elettorale e andare contro nemici inesistenti, come Don Chisciotte lancia in resta addosso ai mulini a vento. Sapete che rispondo? Roma non è ladrona, ma è mangiatoia, perché è la sede del Potere. Ci spieghino questo concetto, insieme con il federalismo. Buone vacanze a tutti!». Pippo Franco è un altro nume della romanità. Ha vestito i panni del Marchese del Grillo, è tra i mattatori del Bagaglino, il cabaret che offre nell'intervallo l'amatriciana e le penne all'arrabbiata. Ed è stato pure tentato dalla politica, nel 2006, con la benedizione del divo Giulio (Andreotti). Ha corso col centrodestra per il Senato, nella Lista della Democrazia Cristiana per le autonomie. In scena ha svariato poi in altri personaggi e in altri temi. Ieri è salito su un aereo per la Calabria, terrà spettacoli particolarissimi, sulla Sindone o sull'incantesimo della pittura. «Io non voglio fare il guascone alla Fiorini - attacca Pippo - I romani certi lati antipatici ce li hanno, eccome. Siamo sbruffoni, gonfi di prosopopea, ci sentiamo superiori al resto del mondo. Fino al 1960 chiamavamo burini tutti quelli che abitano fuori del raccordo anulare. Insomma, nel movimento di Lando ci entrerei, ma da dissidente». Ma lei si sente poco romano? «No, sono romano, romanissimo e romanista, tanto per capirci. Ma un romano sui generis. Per esempio non odio i laziali. E non sopporto la boria e il bullismo. Detto ciò, altri sono i lati buoni dei nati attorno ai Sette Colli». Ed ecco l'elenco secondo il nostro Pippo. «A Roma è nato il diritto, e non dobbiamo dimenticarcelo mai. È la citta più bella del mondo, tra antichità, rinascimento, barocco. È così famosa che la conoscono anche nelle regioni più sperdute della Cina, dove magari ignorano tutto il resto dell'Italia. Ma la grandezza di Roma per me sta nel primato spirituale della città. Ci dimentichiamo che sono sepolti qui gli apostoli Pietro e Paolo. Che è qui la cattedra e la dimora del Pontefice. Ecco, sono fiero di essere romano perché la mia è la città del Papa. Forse per questo ci sentiamo superiori agli altri. Allora, trasformiamo la boria in sentimento della universalità». Vabbè, ma che c'è di buono nel carattere? «L'ironia, e qui non ci batte nessuno. L'ospitalità. Il senso della solidarietà, che non troveresti neanche nella multiculturale New York. Insomma, il cuore de Roma. Imbattibile». Ma quando i lumbard ci guardano storto, ci affibbiano l'epiteto di profittatori? «Alle provocazioni non rispondo. Parlano del Governo, non degli abitanti. Concordo con Proietti. È tutta una polemica interna alla stanza dei bottoni. E nella stanza dei bottoni ci stanno loro».