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Gli anni settanta erano di destra

Il cantautore Lucio Battisti

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C'è una fetta di cultura, di musica, di arte, di spettacolo del nostro Paese della quale per mezzo secolo è stata ufficialmente negata l'esistenza. È la cultura di destra, anche se chiamarla così appare fuorviante. Forse sarebbe più esatto chiamarla «cultura alternativa», ma ognuno può definirla un po' come gli pare. Tanto il risultato non cambia. Nella geometria dei «politicamente corretti» per certa gente proprio non c'era posto. Altrimenti cadeva tutto il castello dell'equazione: cultura uguale sinistra, ignoranza uguale destra pervicacemente affermato per anni dagli intellettuali organici del Pci. Negli anni Settanta, ma anche prima e dopo, non sono esistite solo le manifestazioni d'arte legate al cosiddetto «arco costituzionale» ma, per fortuna, anche iniziative di altro sapore e colore. Ma mentre le manifestazioni della sinistra extraparlamentare hanno trovato un riconoscimento (e qualche volta anche l'approvazione) ufficiale, quelle di segno opposto venivano sistematicamente ignorate. Così cantanti del calibro di Leo Valeriano (ma non solo lui) tenevano concerti, pubblicavano dischi, animavano dibattiti, ma tutti rigorosamente «dal vivo». Mai un'eco sulla stampa (quella di grosso calibro), o in tv (allora c'erano solo Rai1, Rai2 e, dal 1979, anche Rai3). Ma la vita vince sempre, come diceva il protagonista di «Jurassic Park» e a trenta e più anni di distanza, cascato il muro di Berlino, sfracellato l'impero Sovietico, vaporizzato il Pci, seppellita l'ascia di guerra insieme a falce e martello... ecco che riappaiono «i fantasmi del passato». Un termine preso in prestito dalla canzone «Il mio canto libero», di Lucio Battiti, che fu, ed è ancora, il più completo e conosciuto di quegli artisti «non allineati». Ma non l'unico. Arrivano in questi giorni in libreria due saggi che sollevano il velo di sconclusionato silenzio che per anni ha coperto interessanti manifestazioni culturali che non piacevano ai santoni dell'«arco costituzionale». Uno è dedicato alla musica e, più generalmente, allo spettacolo: «Il nostro canto libero. Il neofascismo e la musica alternativa: lotta politica e conflitto generazionale negli anni di piombo», un testo ampio e complesso (circa 300 pagine), Castelvecchi editore, 22 euro. Scritto a quattro mani da due studiosi: Cristina Di Giorgi e Ippolito Edmondo Ferrario è un approfondito resoconto dei fermenti culturali, chiamiamoli di destra, che animarono i '70. Nel silenzio più totale. Da band musicali come «La Compagnia dell'Anello» e «Gli Amici del Vento» a cabarettisti importanti, come Pippo Franco, è descritta la storia di una cultura che si è mossa tra i prati dei Campi Hobbit alle cantine del centro storico della Capitale. Tutta gente che faceva venire l'orticaria ai tromboni organici dell'intellighenzia rossa. Così nei Settanta capitava di vedere in tv un giovanissimo Nanni Moretti azzuffarsi (verbalmente per carità) con Mario Monicelli (è accaduto nel 1977). Ma che oltre alla cultura «gruppettara» di sinistra ce n'era una altrettanto vigorosa di diverso colore non lo diceva nessuno. Oggi c'è un problema: così la politica di destra che cresce e si afferma sempre di più rischia di sembrare atterrata come un disco volante da un altro pianeta. E non è così: quei fermenti esistevano, sono cresciuti e hanno dato frutti. Che vediamo oggi. In alcuni casi anche in modo plateale e gioioso, come quando Renata Polverini, appena eletta presidente della Regione Lazio, ha cantato in piazza, a squarciagola, in modo sacrosanto e liberatorio (anche se un po' stonato) «Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi», di Battisti. Decisamente più politico «Fuori dal cerchio. Viaggio nella destra radicale italiana», un «mattone» da 380 pagine del professor Nicola Antolini. Uno storico «fu comunista» che, con un'impostazione rigorosamente scientifica, ha analizzato attraverso delle interviste il «cuore nero» che negli anni Settanta animava la vita profonda di molte città. Scrive Antolini: «Spesso la storia tende a plasmarsi su forme diverse, a seconda di chi la racconta. Non solo le interpretazioni e le teorie, ma anche le ricostruzioni dei fatti possono differire di molto nelle diverse versioni». La parola «revisionismo» è brutta, ma necessaria. Fino a poco tempo fa è stata raccontata una storia alla quale manca un pezzo e non solo per l'immediato Dopoguerra. Oggi si comincia a riappiccicare «quel pezzo», anche se ai tromboni organici, questo, ancora fa venire l'orticaria. E si comprassero una crema.  

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