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La letteratura non è finita

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Lapassione per la scrittura in tutte le sue forme, dalla narrativa al teatro, dalla poesia al cinema, guida Dacia Maraini, un'intellettuale che non si lascia contaminare dalle mode culturali preferendo esaltare la libertà creativa. Alle prese con la direzione artistica della decima edizione del Festival Nazionale Teatro di Gioia in Abruzzo, la romanziera e drammaturga minimizza le polemiche sorte intorno al documentario «Senza scrittori» di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, schierandosi in favore di un'indagine critica condotta per elementi specifici e senza giudizi disfattisti. È d'accordo con chi denuncia la scomparsa della figura tradizionale dello scrittore? «Credo che questi discorsi sulla fine della letteratura italiana si ripetano da cinquant'anni e lascino il tempo che trovano. Bisogna parlare di persone concrete e di libri in particolare, analizzando casi singoli. Non condivido il catastrofismo». Ci sono autori contemporanei che predilige? «Ritengo Melania Mazzucco impegnata, interessante e nuova. Amo anche Affinati e Ammaniti. Mi è piaciuto molto il libro di Pennacchi "Canale Mussolini" che ha vinto il Premio Strega: ricostruisce in maniera accattivante la storia della colonia veneta di Sabaudia, dove ho trascorso molti anni». Individua tendenze ricorrenti nella narrativa di oggi? «I giovani segnalano un ritorno all'impegno civile e non politico. Se nel Sessantotto c'era uno spirito iconoclasta e rivoluzionario, ora si può riscontrare un inedito senso di responsabilità, un desiderio di recupero dei valori, uno sguardo critico verso le vicende del nostro Paese. C'è molta voglia di scrivere, di capire passato e presente e di inserirsi nel mondo con consapevolezza etica». La creatività italiana non è poi così in crisi? «Lo ha già dimostrato il cinema: ho constatato di persona quanto Sorrentino sia stato apprezzato negli Stati Uniti. Curo a Pescasseroli, insieme a Marco Risi, il Premio Age per la migliore sceneggiatura e mi arrivano lavori di pregio che però magari non riescono a contare sulla distribuzione. Il nostro problema nazionale è la soggezione ai prodotti americani come pure la scarsa iniziativa a sostegno dei nostri film che, invece, sono di alta qualità». Quali requisiti deve avere una buona scrittura? «Deve rivelarsi un progetto linguistico, altrimenti è giornalismo. Un romanzo ha valore se c'è uno stile che sappia andare oltre i contenuti. Va compiuta una scelta: c'è il lavoro barocco sulle metafore di Melania Mazzucco o il tono lirico che fa di Saviano un narratore. L'arte è sempre legata alla forma». Come coltiva il suo amore per il teatro? «Non solo con la drammaturgia, che peraltro cerco di insegnare anche ai giovani con una scuola ambientata proprio a Gioia. Il mio festival, giunto faticosamente al decimo anno poiché ci hanno tolto i finanziamenti istituzionali e abbiamo dovuto sostituirli con gli sponsor, mi consente di valorizzare la splendida natura del parco abruzzese per mezzo della cultura. Quest'anno abbiamo favorito la comicità: ci saranno Cornacchione, domani, il giovane emergente Massimiliano Graziuso il 10, il Trio Ricotta l'11 e il 12, un itinerario di poesia in cammino affidato a giovani che attraverseranno il paese con le loro parole. L'espressione verbale è connaturata all'uomo e non potrà essere intaccata dalle nuove tecnologie».

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