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Viva l'ozio con i versi di Gozzano e gli eroi «perdenti» di Murakami

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Ilunghi pomeriggi estivi persi nell'ozio si sposano molto bene con i romanzi di Murakami Haruki, uno degli scrittori giapponesi più amati in patria e altrove. Giustamente idolatrato (non è per caso che sia in odor di Nobel), Murakami è una pietra miliare della new wave dei giovani scrittori che dalla metà degli anni Settanta in poi hanno rivoluzionato la letteratura del Paese del Sol Levante. I suoi romanzi sono dei classici moderni universali facilmente reperibili in libreria perché recentemente pubblicati da Einaudi. Della serie dove colgo, colgo bene. Ma se 800 pagine non vi sembrano tante per un romanzo solo, allora immergetevi pure nella lettura di «L'uccello che girava le viti del mondo» del 1997. Il protagonista Okada Toru è abbastanza in linea con gli altri eroi di Murakami (che conosce bene l'Italia, in un residence alla periferia di Roma ha pure scritto gran parte del romanzo «Norwegian Wood»). Apparentemente Okada rientra nella categoria dei «senza qualità», dei «perdenti e autolesionisti». Si licenzia da un lavoro che non lo gratifica e si ritrova a bighellonare in casa. Le sue giornate improvvisamente si svuotano di tutto: un altro si ammazzarebbe, lui rinasce a nuova esistenza. Stira accuratamente le camicie, prepara la cena per la moglie Kumiko, passa il tempo a cercare in un vicolo cieco il gatto scappato. Assapora un inaspettato, piccolo mondo tranquillo del quale ogni giorno un uccello sconosciuto dal verso stridente che si poggia sull'albero vicino casa s'adopera a «stringere le viti». La storia è più complessa: anche qui iperrealismo e soprannaturale si accavallano in un intreccio fatto di grigiori e sfibranti maniacali descrizioni di dettagli (apparentemente insignificanti) alternate a improvvise e fulminee fiammate. Un universo animato da personaggi bizzarri quasi surreali, «animali» pensanti e generosi dispensatori di folgoranti perle di saggezza. Ad esempio la presa di coscienza di Okada sulla ritrovata libertà: «Niente più pasti a menù fisso insieme ai colleghi in ristoranti strapieni, niente più conversazioni sulla partita di baseball della sera prima. Alleluja! Ma la cosa più fantastica, era poter leggere i libri che volevo quando volevo». È il manifesto del downshifting ma lui ancora non lo sapeva. Dai meriggi assolati e sfrigolanti di cicale alle languide ore del tramonto quando le ombre s'allungano e lo spirito si fa melanconico. È il momento perfetto per leggere qualche poesia dal sapore antico ma con problematiche e rovelli moderni. «Le poesie» di Guido Gozzano (ed. Mondadori) può far comodo. C'è nell'aria una grande voglia di riscoprire Gozzano quell'uomo «d'altri tempi, sentimentale, giovine romantico» quello, dirà Gozzano, «che fingo d'essere e non sono». Qualche giorno fa al Gianicolo è andata in scena per Fontanonestate «Carlotta, Graziella e le altre» un delizioso spettacolo con Lucia Poli che leggeva le poesie del nostro autore. E questa primavera nello spettacolo «Troppo buono» al Piccolo Eliseo con Giulio Scarpati, il cameo più bello è stata proprio la recitazione della poesia «Cocotte». Un momento intenso e commovente, un'interpretazione da brividi. Lo struggente rimpianto per quelle «cose che potevano essere e non sono state» e il profumo delle «rose del bel giardino di vent'anni or sono» non lo dimenticheremo più.

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