Dal 1861 agli anni Sessanta l'Italia tra mode e conflitti
Chi non ha mai trovato in soffitta, in mansarda o in un vecchio baule, foto antiche di famiglia? E chi, guardandole, non ha immaginato la vita di una volta, sospesa tra tradizione e innovazione, tra valori romantici e diktat repressivi? Tutto questo piccolo mondo antico riaffiora oggi, grazie al Dipartimento per le politiche familiari della Presidenza del Consiglio che, in vista della Conferenza nazionale della famiglia (a Milano dall'8 al 10 novembre), sta raccogliendo scatti ricordo per «Foto-famiglia». E sono già 500 le fotografie giunte agli organizzatori della raccolta dopo pochi giorni dal via. Molti gli italiani che stanno inviando immagini in bianco e nero che ritraggono momenti familiari scattati dal 1861 agli anni '60. C'è tempo fino al 15 settembre per partecipare (attraverso invio di una mail a fotofamiglia conferenzanazionaledella famiglia.it) alla raccolta delle foto. «Non c'è grande questione del nostro futuro - ha detto il sottosegretario Carlo Giovanardi, responsabile del Dipartimento - che non sia in qualche modo legata al futuro del nucleo familiare. Ed è un futuro al quale occorre, da subito, cominciare a lavorare. Il messaggio che caratterizza la seconda conferenza Nazionale della famiglia "Famiglia-Storia e futuro di tutti" contiene già il senso di questa iniziativa. Facile capire l'importanza della famiglia nel nostro passato, individuale e collettivo; ma sicuramente ci aspetta un destino nel quale molto dipenderà dalla famiglia, anche per chi non ha la famiglia nel proprio progetto personale». Per troppo tempo si è ritenuto che il XIX secolo fosse stato l'epoca di una transizione lineare verso una società migliore, grazie alla presa di coscienza e all'emancipazione di tutti i soggetti fino ad allora sottomessi. Invece, non andò così e Leopardi fu uno dei pochissimi a criticare «le magnifiche sorti progressive» esaltate da Romanticismo e Positivismo. Quella emancipazione è stata perciò ottenuta a costi alti e con conflitti i cui strascichi sono visibili ancora oggi. Il prezzo della modernità ha trascinato con sé profondi contrasti con le istituzioni tradizionali, che hanno resistito di fronte allo tzunami del cambiamento epocale. E la famiglia fu uno di quegli ambienti in cui i valori antichi resistettero più a lungo che altrove. Le generazioni degli anni '60 non faranno fatica a ricordare le liti per uscire di casa la notte, per avere le chiavi di casa, subendo i tormentoni genitoriali di allora (del tipo «Questa casa non è un albergo!») mentre le ragazze lottavano per tirare su gli orli delle loro gonne. Quanti ricordi emergono da quelle centinaia di foto, ritratto di un'Italia in perenne e conflittuale mutamento. Persino gli oggetti sembra che parlino dalle immagini. Rammentando che nelle case era netta la separazione tra ambienti privati e pubblici: i primi, dove potevano entrare solo i padroni di casa, erano sobri e privi di ornamenti, mentre i secondi erano ricchi di oggetti di valore, che offrivano la misura del potere di chi li abitava. La borghesia, invece e soprattutto quella del nord, preferiva intrattenere incontri culturali all'esterno della propria abitazione e, come nella migliore tradizione illuministica, si recavano nei fumosi Caffé, quasi a rimarcare una divisione tra la tradizione passata e una nuova visione di vivere e socializzare. Però, sia nella casa borghese sia in quelle patriarcale, c'erano alcuni oggetti che non potevano mancare. Tra questi c'era proprio la fotografia, grande o piccola, incorniciata, appesa al muro o poggiata su un mobile che rappresentava il cambiamento dei tempi. Un altro oggetto molto diffuso in tutte le abitazioni, di ogni livello sociale ed economico, era l'orologio, altro ponte tra passato e presente, passaggio su cui orbitava il mondo dell'epoca. La vecchia pendola del bisnonno o gli orologi artistici conservati sotto le tipiche campane di vetro. L'orologio era il simbolo della scienza, della tecnica, della meccanica, in una parola della modernità. L'Italia che cambia, non vive più solo attraverso i libri degli intellettuali o dei nobili, ma viene arricchita dalle fotografie, che aiutano a ricordare e a testimoniare il passato. Con i vestiti delle signore, ricchi di merletti e di accessori, tra guanti, cappelli e ombrellini. Con i completi severi degli uomini, che usavano con disinvoltura tube, panciotti e ghette. E quei volti immobili, spesso poco sorridenti, erano l'emblema di certi conflitti, di sospiri e pianti femminili soffocati tra i cuscini dei grandi letti a baldacchino. Spiccano gli occhi spauriti dei bambini travolti dal passaggio delle guerre, tra fame e incomunicabilità. Questo e altro affiora delle foto che a mano mano diventano colorate, meno ingessate e sempre più icone di istantanee emozioni. Dal 1861 fino ai primi anni '60, tutti quei volti appartengono ad una stessa grande famiglia italiana, che si riconosce e, almeno per una volta, condivide la sua identità».