Mutande a vista, coatto perfetto
Torna di moda l'orgoglio coatto. Tanto per cominciare perché è "Un sacco bello". Ce lo ha insegnato Carlo Verdone portando sullo schermo Enzo, padre di quel cafone di Ivano che, mentre Jessica ciancicava (masticava) una gomma, amava farlo strano in "viaggio di nozze": ma solo per fare qualcosa di nuovo, in una società che ha consumato tutto. Ma il cafone è anche altro. «Tante cose, signo'», come dicono a Trastevere per augurare che il futuro sia dei migliori. Per chi non lo avesse ben chiaro in mente, nell'equazione delle tribù metropolitane i capelli corti ma a punta, ricoperti di gel e i cappellini con visiera non calcati in testa, ma appena appena appoggiati stanno ai coatti come la minicar sta al pariolino. Lui indossa occhiali da sole a visiera, maglietta e jeans aderenti, scarpe tipo tennis con la suola molto alta per stare all'altezza della sua coatta, con zeppone ai piedi possibilmente slacciate, che stanno da Dio sotto pantaloni Capri meglio se con l'elastico delle mutante in vista. Immancabili sono i tatuaggi etnici, meglio in lingua inglese o tribali. Patito di hi-tech, ci capisce di film farciti di effetti speciali che poi rivede a casa o in auto. Ha perfino un idolo: Ilan Fernandez, ex narcotrafficante colombiano diventato stilista e conosciuto per il marchio "De puta madre 69". «Ormai il coatto è diventato uno stile – dice Klaus Davi, massmediologo – basta guardare cosa va il pomeriggio sulle reti televisive e ci si spiega: la tv lo ha normalizzato. Personalmente, preferisco il coatto al radical chic, che trovo un coatto mascherato, abituato a pensare in modo politically correct, tenendo conto dei pareri di certi salotti. Entrambi hanno qualcosa in comune: il coatto ha una volgarità ostentata, mentre il radical chic ha una volgarità di pensiero che è il conformismo», conclude Davi. Tutta colpa di mamma e papà. Avoja. Secondo lo psicologo Paolo Crepet, «la cafonaggine non è direttamente proporzionale al 740, né al livello culturale, ma ha a che vedere con l'educazione. Dietro l'adulto cafone ci sono due genitori cafoni. Ma il punto è un altro: perché la cafonaggine oggi riesce a farci stare più a galla? Merito di alcuni strumenti tecnologici che hanno una valenza vigliacca. Inviando ad esempio messaggini anonimi, posso dire qualsiasi cosa, faccio il furbo e non mi prendo la responsabilità delle mie azioni. Nel dna del cafone c'è il non rispetto della persona: il principio di tutti i mali. A dirlo è banale – avverte Crepet - Invece ormai sembra che ci preoccupiamo di più se si abbandona un cane che un nonno». Sta di fatto che «il coatto vero è timido - dice Vera Slepoj, psicologa e psicoterapeuta – è una persona con pochi strumenti intellettuali; ciò non vuol dire che non ha una visione del mondo, ma l'ha proiettata più sul fare che sul dire. Provvisto di poca dialettica, abituato a imporre più che a capire, riesce ad avere una supremazia usando leggi primordiali e, spesso, utilizzando parole che hanno a che fare con gli organi sessuali. Per dire, senza mediazioni, quello che è».