L'ombelico del mondo
Nell’ultima sequenza di uno splendido film di Antonio Pietrangeli, «Fantasmi a Roma», un’anziana deliziosa signora del tutto pazza, detta "la Regina" in quanto tale si crede, dichiara di voler regalare il Colosseo e aggiunge: "Tanto, che me faccio? È tutto buchi". Quando invece, negli Anni Trenta, si distese sul manto dei Fori Imperiali liberati dal dedalo delle costruzioni che vi si erano accumulate nei secoli il nastro di cemento della Via sulla quale avrebbero dovuto snodarsi i cortei trionfali di quello che allora appariva l'Impero Rinnovato, l'idea-guida che presiedeva al progetto urbanistico voluto dal Duce era quella di collegare la gloria dell'antico Roma direttamente alla nuova Italia attraverso una linea diretta che partiva dall'Altare della Patria per giungere, costeggiando le più prestigiose reliquie dell'antichità, al celebre monumento famoso in tutto il mondo. Ed era importante che si trattasse di un monumento che richiamava non solo l'idea del potere, ma anche quella dell'unità di un popolo che per secoli vi si era riunito e che vi si era riconosciuto. Da allora, l'immenso anfiteatro conobbe una nuova vita e cominciò a divenir oggetto di rinnovati studi e di periodici restauri: nonostante non si sia mai affrontato, fino ad oggi, il problema di un restauro definitivo e radicale, che presenta problemi e costi molto alti. Per cui, preparatevi a polemiche e a contestazioni senza fine. La polemica, del resto, era fin dalla sua rivalutazione urbanistica insita nella sua stessa storia. Se esso doveva servire a celebrare la storia di Roma, se ne potevano dimenticare anche gli aspetti meno onorevoli e più tragici? Si poteva fingere di non sapere che la maggior parte degli spettacoli che si erano svolti in quella grande arena erano state in realtà delle orribili mattanze di animali e soprattutto di uomini? Si poteva trascurare il fatto che la plebe romana si divertiva in modi d'un'agghiacciante crudeltà e che per tenerla buona ed evitare che la sua turbolenza sfociasse in sommosse gli imperatori la svagavano per mezzo di spettacoli ch'erano di solito non solo i duelli mortali fra gladiatori, ma addirittura cacce ad animali feroci oppure messe in scena di tragedie durante le quali gli attori erano veramente uccisi fra atroci tormenti? Si potevano passar sotto silenzio i numerosi martiri cristiani che vi avevano incontrato una morte spaventosa fra III e IV secolo, specie durante le persecuzioni di Decio e di Diocleziano? La Chiesa romana rispose alla rivalutazione archeologico-politico-turistica del monumento facendone il teatro notturno della processione espiatoria del Venerdì Santo, alla presenza del papa; e negli Anni Cinquanta al suo interno fu eretta una grande croce in memoria dei martiri. E' pertanto necessario ricordare, nell'anno del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia, che la nostra storia recente, e soprattutto quella della città di Roma, ì segnata e attraversata per intero anche dal conflitto tra stato e Chiesa. Il carattere massonico dell'architettura simbolica dell'Altare della Patria e la polemica sul valore da conferire alla memoria del Colosseo sono parte della schizofrenia che attraversa la storia nazionale dal Risorgimento ad poggi. Ve ne accorgerete tra poco più di un mese, quando si tratterà di ricordare il Centoquarantesimo del Venti Settembre. La Conciliazione del '29, in realtà, non è stata sufficiente a sanare questo vulnus. Eppure, tutto ciò non basta ad esaurire la memoria storica di quello che dovremmo chiamare "Anfiteatro Flavio" (dalla dinastia imperiale che lo costruì, verso la fine del I secolo) ma che il popolo romano ricordò sempre da un particolare divenuto invece infamante, l'enorme statua (il "Colosso", appunto) che Nerone si era fatto erigere ai piedi del Celio, sulle rive di un lago artificiale, e che venne spazzato via per lasciar posto alla nuova costruzione. Caduto in disuso - gli imperatori cristiani incentivarono le gare di corsa delle quadrighe al Circo Massimo, ma abolirono gli spettacoli cruenti -, il Colosseo divenne una cava di pietre da costruzione per nuovi edifici finché, nel XII secolo, fu occupato dal nobile casato dei Frangipani che lo trasformò in fortezza. In parte liberato col Rinascimento, allorché le antichità romane tornarono in auge, divenne immediatamente un luogo misterioso e pericoloso: i cultori di scienze occulte lo usavano per le loro cerimonie. E Benvenuto Cellini, nella sua autobiografia, ricorda di un prete-mago che in quel luogo lo fece assistere a una notturna evocazione di diavoli, probabilmente con l'aiuto di un rudimentale proto modello di "lampada magica". In un certo senso, potremmo perfino sostenere dunque che nell'Anfiteatro Flavio sia nata una nuova arte. Il cinema.