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E allora adesso si vieti pure il Palio

La contrada della Selva vince il Palio di Siena di luglio

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Se non si trattasse dell'ennesima replica, in salsa politically correct, del moralismo da XXI secolo, potremmo definirle bagatelle di mezza estate, scelte fatte per ingannare l'afa. Eppure, nella decisione catalana - resa nota ieri - di abolire le corride si nasconde l'etica imposta dall'alto dei nostri tempi, un'etica fatta di trionfo dei vittimismi, di consumatori in tv, di igienisti, di vegetariani, di gente che non beve e non fuma perché guai, pure le porzioni intere di bucatini alla matriciana potrebbero far male. Ed allora meglio le mezze di porzioni. La Corrida, già. Pochi sanno che in Toscana, nella Siena municipale del Rinascimento e delle Signorie, i festeggiamenti dell'uomo che conquistava la ragione come centro del mondo prevedevano il gioco del pallone (si chiamava pallacorda) e le cacce ai tori. Negli stessi anni, poi, un'umanità liberata dal peso di una terra piatta e tolemaica, si inventava il pallium, un premio per la vittoria - un drappo (cencio per i senesi) con arredi e immagini sacre - che a Siena sopravvive ancora oggi, trofeo per i vincitori del Palio. Una festa e un simbolo, questa benedetta corsa, che sembra risalire - nella forma in cui lo si corre ancora oggi - al 1633, «alla tonda» gareggiata in Piazza del Campo, erede delle corse di cavalli che attraversavano la città terminando di solito in Piazza del Duomo negli anni precedenti. Storia, d'accordo ma l'interrogativo, corrida o palio, è lo stesso: che facciamo, per salvaguardare i cavalli, aboliamo pure la corsa di Siena? Suvvia, non scherziamo: il torero Manolete, star della Spagna franchista morto per un'incornata del toro Islero, non era un macellaio ma un uomo che misurava se stesso, il confine dell'umano con la morte ed i propri limiti. Eros e thanatos in corrida. Come Aceto, fantino famoso del Palio senese negli anni Settanta e Ottanta, era il domatore della forza dell'animale, la redine per arrivare alla vittoria e far godere le contrade due volte all'anno (il Palio si corre in luglio e agosto). Perché c'è una liturgia, in queste sfide, che nessun salutismo o animalismo potrà mai abolire. L'uomo muore e non ci si può fare nulla, neppure se lo si mette a dieta. Misurarsi, quello sì, è il modo di lasciare una traccia di sé, una lotta per restare vivi che attraversa l'arte, la letteratura, persino l'affrancamento dell'uomo primitivo dalla schiavitù della natura e dalla sua forza. «A dirlo fra noi - scriveva Curzio Malaparte in Maledetti toscani - la gentilezza sta di casa solo a Siena. Altrove, nel resto della Toscana, è civiltà di modi, e non di voce, di piglio, di tono, di parole». Ecco il Palio è gentile ma maschio, come la Corrida, come la vita che passa. Non lo si può abolire, lo si deve vivere. Perché come diceva Zaraballe, al secolo Alduino Emidi, fantino nel primo Novecento: «Mi chiamo Zaraballe, vengo dalla Puglia e tengo cosce buone». Cosce da palio.

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