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La gelataia entra ed esce dal retrobottega.

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Lafiglia rimesta nei secchielli col gelato, tutti gusti di frutta. Due ragazzetti sudati - il meno che gli possa capitare nella controra - posano tre euro sul bancone e chiedono un frappè. «Con tanta fragola, però». «Bar La Torre», recita la piccola scritta al neon sul chiosco. I pischelli afferrano il bicchierone con la cannuccia infilata dentro, si siedono ai tavolini di plastica bianca. Vicino a due signore stagionate, il prendisole con le tasche per il ventaglio e i Kleenex. «Almeno qui c'è un poco d'aria». Sì, un refolo s'infila nel piccolo belvedere affacciato sul canale. D'acqua ne porta il minimo, riempie solo il cunettone centrale. Sul greto asciutto - dove ancora sono salde le pietre della «savanella» di ottant'anni anni fa - tre o quattro automobili, il carrello per trasportare il barchino agganciato dietro. Certi pescano, nell'acqua verde scura. In fondo la spiagghia di rena chiara e il mare. Dall'altra parte quel letto di fiume artificiale mezzo vuoto. Trentatre chilometri. Pare non finisca mai, si sperde nella foschia afosa e nel profilo incerto dei monti. Canale Mussolini, lo sbocco a mare, sul lido pontino. Cento metri dalla passeggiata che è il vanto - con i globi al neon che svettano sull'asfalto - di Foce Verde, frazione di Latina. Canale Mussolini, già. Ma se lo chiedi alla barista, che sta nel suo chiosco da decenni, non lo sa. Non lo sanno le due anziane che sbuffano per il caldo, i pescatori di sotto. E del resto, come fanno a saperlo? Di questo fiume artificiale che dal 1928 al 1932 hanno scavato gli operai chiamati dall'Opera Nazionale Combattenti e i coloni portati coi treni dal Veneto, da Ferrara, da Rovigo pochi di quelli che ci stanno, che ci vengono a fare le ferie, che ci lavorano, conoscono il come e perché. Ignorano - o vogliono ignorare - che lavoro, ferie, affari, casa adesso ci stanno perché il dittatore, Mussolini, ha voluto e realizzato la bonifica di 70 mila ettari di terreno acquitrinoso, quella Piscinara subito a sud di Roma sdraiata tra i Lepini e il mare, gli Ausoni e il Circeo. Del resto la damnatio memoriae - politica e sociale, di classe - è totale. Non una targa, non un cartello esplicativo in 30 chilometri di Canale. Figurarsi sul ponticello che ne attraversa l'ultimo tratto. La via stretta e polverosa che lo costeggia si chiama «via dell'argine». Sotto, la scritta scarna «canale di bonifica». Stop. Eppure questi posti qualche visitatore curioso del passato, della storia, della memoria che dovrebbe essere condivisa, dovrebbero attirarlo, adesso. Perché c'è un libro, uno dei più bei romanzi usciti di recente, che ne narra per filo e per segno le vicende, viste dal basso, uscite dai ricordi di chi c'era. Il libro è appunto «Canale Mussolini». L'ha scritto Antonio Pennacchi, uno di qui, famiglia di coloni. Ha vinto il Premio Strega, è secondo nella classifica dei più venduti. Ma se a Latina hanno festeggiato, non ne sa niente la signora dei frappè. Che si lamenta solo: «Qui il Comune non si fa vedere. Nemmeno un cartello per Torre Astura, hanno messo. Ci chiedono dove sta. E se vogliamo un po' di pulito, dobbiamo farlo noi». E davvero questo Lungomare Pontino, come l'hanno chiamato, farebbe rivoltare nella tomba Buonanima. Sulle stoppie attorno ai cassonetti bottiglie di plastica, cartacce, schifezze. La strada è intervallata dei cancelli dei poderi, dai muretti che recingono le proprietà degli ex coloni. Ma ormai è rara l'ombra degli eucalyptus, i giganti mangiacqua piantati mentre si scavava il canale. Il perché Pennacchi lo mette in bocca all'io narrante: li hanno levati quasi tutti gli eucalypti, i «calìps» come li chiamano i «cispadani» protagonisti della sua epopea. Con la scusa che sono alberi importati. Ma in realtà per cancellare il passato. Al loro posto ci hanno messo le palme. Nella campagna hanno piantato i kiwi. A tappeto, tanto che questa zona produce più kiwi della Nuova Zelanda. Ma che? Palme e kiwi non sono esotici, d'altri paesi? «La verità - scrive l'autore - è che a loro l'eucalypto gli ricorda la povertà e la miseria da cui sono partiti. E ogni ricco qui è un pidocchio rifatto figlio pure lui d'un esule con le pezze al culo, che ogni volta che vede un eucalyptus si sente prudere quelle pezze». Vicende dimenticate. Pennacchi ne riesuma tante, dalle fonti orali che ha sentito. Quelli della sua famiglia, ma anche il sor Riziero del bar Poeta, Mario «Palude» Ferrari, Gastone il barbiere e tanti altri. Per esempio, in nessun libro di storia c'è scritto quel che avvenne quando sbarcarono gli Alleati, non solo ad Anzio, ma su chilometri di litorale, da Torre Astura fino a Tor Caldara e a Tor San Lorenzo. C'erano appena un migliaio di tedeschi, in zona, e gli Angloamericani - 35 mila - pensavano di trovarne a iosa. A sparare nelle prime 24-30 ore dello sbarco, per difendere le loro terre, furono i coloni, coi fucili tenuti in casa. Gli invasori immaginarono chissà quale reazione nemica. Invece erano i cispadani, mentre a Cori, Sermoneta, Bassiano, Sezze i «marocchini» (o «marocassi»), antifascisti, preparavano la resistenza. E c'è pure un'altra diceria. Che un inglese appena sbarcato, a bordo di una camionetta infilò la Nettunense verso Roma. Senza che nessuno lo bloccasse. Arrivò fino alla città eterna, in piazza San Giovanni. Per poi ritornare indietro indisturbato. Altro che la presa di Montecassino e, dopo quella, la marcia verso la Capitale. Di altri miti c'è memoria in «Canale Mussolini». Del camion con un gattino vivo dentro che sprofondò nel fango seguito alle piogge torrenziali alla vigilia dell'inaugurazione di Littoria. I lavori convulsi prima dell'arrivo di Mussolini, il 18 dicembre 1932, non permisero il recupero. Sicché quel camion è rimasto sotto la Fontana della Palla di Latina, e a qualcuno pare talvolta di sentire il miao miao del povero micio. Del resto, la sequenza delle inaugurazioni trionfali delle città mussoliniane spuntate in sei anni in quella che era la Piscinara - l'immensa palude che diventò «la Merica» dei Cispadani - vide sempre la stessa sequanza, così come la raccontarono i giornali: acqua a catinelle e poi, mezz'ora prima dell'arrivo dal fatale Benito, la «benedizione» dei raggi del sole. A Littoria-Latina come a Sabaudia, a Pontinia, ad Aprilia, a Pomezia. Tutte nel cerchio del Canale Mussolini.

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