Professione sacerdote
Mal'abito lo fa o non lo fa il monaco? Nel senso che i preti in borghese, magari con una croce piccola piccola all'occhiello della giacca per segnalare il loro ministero oppure con indosso magliette griffate, o con quel clergyman che a noi fa sempre rimpiangere la tonaca svolazzante e generosa di don Camillo: ebbene, questi preti li sentiamo più vicini o più lontani? Ci danno l'idea di essere «altro» da noi, con tanto di aura spirituale sospesa sul capo, o ci trasmettono l'immagine dell'amicone pronto a darti le pacche sulle spalle, a ridere con te rumorosamente, ad ascoltare o fare confidenze che hanno il sapore di un «umano troppo umano» e «troppo condiviso»? Tanto da non avere più niente che li distingua, che so, da un simpatico confidente che ti capisce perché ti somiglia o di un allegro animatore sociale capace di mille idee e di mille iniziative ma senza quella scintilla di spiritualità di cui avverti un oscuro bisogno? Per carità, nulla di più lontano da noi dell'intenzione di ergerci a giudici (e con quale diritto, poi?) ma, lo confessiamo, rimpiangiamo un po' i preti di una volta, quelli da cui, come si diceva, «andavamo a dottrina», per prepararci alla Santa Comunione. Non vogliamo dire che profumassero tutti di santità, però Ora, leggendo questo libro di Carlo Melina («Vita da preti. Grazie e disgrazie del ministero sacerdotale», Vallecchi, pp.192, euro 14,50), di tipi di sacerdote ne troviamo tanti, ma non quello che avremmo voluto incontrare. Un «modello»? Forse, ma è proprio quanto propone il Santo Padre Benedetto XVI, nella Lettera per l'indizione dell'Anno sacerdotale, in occasione del 150° anniversario del Dies natalis di Giovanni Maria Vianney (la si vada in appendice al testo). Leggiamo: «Il Curato d'Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d'essere un dono immenso per la sua gente: «Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina». Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati a una creatura umana: «Oh, come il prete è grande!... Se egli comprendesse, morirebbe Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia». Già, ma il curato d'Ars è un santo. E i ritratti che troviamo in «Vita da preti» non ci presentano, non vogliono presentarci dei santi. Melina è un giovane giornalista che, ospite di un monsignore ha trascorso alcuni mesi in Vaticano e che poi è andato in giro per l'Italia a raccogliere, come si suol dire, «documenti e testimonianze». 12, come gli apostoli. Apostoli moderni, osservati con curiosità, con affetto, con «pietas», e forse con quella indefinibile nostalgia del Prete, sì, con la maiuscola, cui abbiamo fatto cenno. Intendiamoci, il libro è un attento (e ironico) scavo nella realtà: i preti di cui si parla sono «raccontati» nei loro guadagni, nel rapporto con l'autorità, nei problemi di tutti i giorni, debolezze, tentazioni, inquietudini comprese. Sono preti «dentro» il mondo. Alto e basso clero: un effervescente salesiano, un monaco camaldolese, un esorcista, un tradizionalista brasiliano, il cappellano di un ospedale pediatrico, il sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, un amico di Oriana Fallaci, l'Arcivescovo di Cosenza ecc. ecc. C'è anche un Innominato, «qualcosa più di un parroco e qualcosa meno di un Papa», che «abita a pochi passi da San Pietro, va al lavoro a piedi, è più alto che largo». Un tipo interessante. E particolarmente interessante è la sua distinzione tra progressisti-reazionari e reazionari-progressisti. I primi si rifanno alla tradizione apostolica precedente il primo Concilio di Nicea e ce l'hanno a morte con la Chiesa «papalina», «anti-femminista», «armata» e «sessuofoba». I secondi difendono le forme tradizionali del culto e il patrimonio teologico e morale che va dal Concilio di Nicea al Concilio Vaticano II. Chissà da che parte stanno i preti e da che parte i Preti. Il libro di Melina, nonostante qualche scoperta che fa lievitare il disincanto, indicazioni in merito ce la dà. Per esempio, l'obbedienza è molto importante per mettere alla prova e dare sostanza alla vocazione. L'obbedienza ha a che fare con il sacrificio. E quando gli affetti entrano in ballo è dura. Prendiamo l'esperienza del salesiano Don Nicola. Gli anni di maggiore impegno formativo li vive a Pordenone. «Cresce» insieme ai suoi ragazzi. Ma anche gli adulti gli vogliono bene. Poi, però i suoi superiori lo trasferiscono. Altri hanno bisogno di lui. E allora? «Abbandonare Pordenone mi è costato tantissimo, ma nello spirito di fede si accetta anche questo. Come Gesù, era giusto che io, consacrato sacerdote dovessi amare coloro che mi erano stati affidati sino alla croce e al sacrificio. L'obbedire, nel mio caso, non ha portato con sé lo spargimento del sangue, ma ti assicuro che il mio cuore ha sanguinato abbondantemente quando sono partito. E comunque non avevo altra scelta. Io voglio essere veramente salesiano e veramente prete, così come voleva don Bosco». Forse possiamo sperare.