Guerra fonte di solidarietà
È un viaggio nelle attese che rimandano a ricerche senza fine, unite dal fil rouge del mistero: questo lo spirito del nuovo romanzo di scrittore Mario Caccavale, «Una notte, una vita» (Mondadori, pp. 155, euro 19). La donna che accompagna la storia di Tommaso non ama le parole, ma sa porre le domande giuste, costringendolo a rileggere il suo percorso: «Hella è un mistero, e con i misteri tutto è possibile», dice il protagonista del libro, un ragazzo che diventa un giornalista famoso e poi presidente di una fondazione scientifica. «Sono le parole non dette a sedurci» ed Hella sa frugare nel cuore di Tommaso per inchiodarlo a quello che ha trovato nelle sue lotte. A fare da quinta al romanzo è la Roma bombardata, poi occupata e liberata, del secondo Novecento, «la Città Eterna degli occhi tristi e dei buchi nello stomaco». Caccavale, cosa rappresenta la donna nel suo romanzo? «In un villino accanto al palazzo del protagonista c'era Hella, "lei" come la chiamavano nel quartiere, la donna sempre sola. Lui la immagina dietro le finestre chiuse, la vede partire il sabato mattina con la sua Balilla, sfidando le bombe, nessuno sapeva dove fosse diretta o perché. Nello scantinato-ricovero, quando i caccia facevano piovere bombe sulla Capitale, Hella se ne stava da una parte, avvolta nella vestaglia di lana bianca. È una provocatrice perché ha la capacità di essere indefinibile e di alimentare nel protagonista mille riflessioni». Sembra quasi che l'immagine femminile segni nel suo libro il mutamento dei tempi.. «Il protagonista incontra un vecchio saggio in Lucania e in un colloquio i due accostano la donna all'emblema della contemporaneità, ad una figura classica, al mistero della vita, quasi a una dama di una partita a scacchi. Senza entrare nel dettaglio sociologico, con il declino della borghesia e dei valori cristiani, si è allentato il rapporto tra madre e figlio: la donna è diventata più oggetto sessuale e meno madre, con una successiva decadenza della cultura borghese. È una visione all'insegna del nichilismo, che mette in risalto una società più feroce, che ha mutato il ruolo tradizionale della donna, come portatrice di valori cristiani. Da qui, i problemi dell'uomo di oggi e di domani: senza il messaggio cristiano egli è meno condizionato dalla morale e lascia spazio alla sua natura animalesca. È finita l'epoca equivoca in cui il Cristianesimo disegnava l'essere ideale: l'uomo e quello che viene fuori oggi». Il periodo della guerra nasconde invece una sorta di catarsi.... «La guerra ha la funzione di apostolato: gli uomini a causa della fame, della povertà o della paura, si avvicinano a Dio. Invece, nel Dopoguerra, con il benessere e i soldi, tutto cambia aspetto e vince la visione retorica dell'euforia inconsistente, che accetta una cultura imposta dagli americani, con le loro danze e le loro canzoni, mentre si perde la nostra melodia. Impera la cultura di risulta imposta dai vincitori. Siamo tutti figli del nostro tempo e solo i megalomani possono pensare il contrario. Il nostro pianeta è ormai un ipermercato dove si acquista e si vende tutto, tranne il sapere». Quale Roma fa da sfondo al romanzo? «Quella di piazza Colonna dove c'è il "Barba", l'enigmatico barbone che compilava la sua Gazzetta con un collage di titoli e testi di giornali raccolti nei cestini dei rifiuti: lo scatolone in cui dormiva era la sua "patria". E poi il Tevere, il quartiere Prati, la periferia sospesa tra la campagna dell'agro romano e gli attici di Montecitorio, dove gli intellettuali raccontavano la parabola del partito comunista italiano. In fondo, a noi mediterranei piacciono i retropensieri, le idee e ci innamoriamo delle eresie necessarie».