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Liga, l'abbraccio Capitale

Ligabue

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Certe notti impazzisce lo stadio. Certe notti parte il conto alla rovescia ed è già delirio. Tra Pasolini, Calvino, De André, Alda Merini, Kennedy, Black Block e Kerouac che si rincorrono sui maxischermi montati dietro e ai lati del palco. Poi vallo a raccontare al pubblico romano che «Il meglio deve ancora venire». Ligabue, si sa, parla poco ma ai sessantamila dell'Olimpico bastano le sue canzoni. Eccome. Il «Ligabue Stadi 2010» è cominciato. E il suo treno è partito da Roma. Per la prima volta. «Non avevo mai debuttato nella Capitale - ha detto - Volevo provare qualcosa di nuovo. È stata una scelta azzeccata visto che abbiamo fatto subito il sold out e aggiunto anche una seconda data». Il live di ieri è iniziato quasi con una gag. Il manager Claudio Maioli è salito sul palco per cantare «Tacabanda». Una sorta di rito propiziatorio, quasi apotropaico. Poi quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Sotto i riflettori appare lui e lo fanno sentire subito a casa. In scaletta quasi tutte le nuove canzoni di «Arrivederci, Mostro!». Eccole qui: «Quando canterai la tua canzone», «La linea sottile», «Nel tempo», «Atto di fede», «La verità è una scelta» e «Un colpo all'anima». Intense. Tese. Rock. Soprattutto quando ruba la scena la sezione ritmica di Michael Urbano alla batteria e Kaveh Rastegar al basso. Un brivido lungo la schiena quando la lunga pedana che taglia il pubblico si alza e dal baule della memoria volano coriandoli. E' Ligabue stesso a spiegare che «la mia valigia è appesantita da fantasmi e pensieri». Tiratissime le chitarre di Federico Poggipollini e Niccolò Bossini, le tastiere di Josè Fiorilli e Luciano Luisi. Vecchie e nuove conoscenze. Motori palpitanti di una fuoriserie che, almeno in Italia, ha pochi eguali. Si ferma il tempo e il prato dell'Olimpico si trasforma in una vasca oscillante di luci. Dal palco risuona «Ci sei sempre stata» e si decolla con le mani magiche di Corrado Rustici. E ancora «Piccola stella senza cielo. Viene quasi da chiedersi se il cielo stellato sia davvero lì in alto o si sia trasferito più giù. Mentre dal palco si scattavano le istantanee della serata con i volti rimbalzati sui maxischermi: cartoline da Roma. Su «Questa è la mia vita» una fan viene presa di peso e fatta accomodare sul divano proprio accanto al Liga. E poi «Un colpo all'anima» cantata all'unisono da tutto lo stadio. «A che ora è la fine del mondo» lancia un urlo di protesta contro chi vuole mettere le mani sull'acqua: un bene primario e inalienabile. Il coro di «Urlando contro il cielo» e «Tra palco e realtà» fa scivolare veloci verso la chiusura. Fino a «Buonanotte all'Italia» che culla vecchi e nuovi miti tricolore e gli schermi diventano bandiera. «Voglio fare un tributo all'Italia - spiega il rocker - alla memoria, ai ricordi e a quello che rappresenta il nostro Paese». Senza sfuggire a sferzate polemiche. «In Italia non siamo capaci di parlare di futuro. In qualche modo è una fotografia devastante». Il gran finale lascia il pubblico con la speranza. «I tempi sono molto duri - chiude Ligabue a luci già accese - ma lasciatevi dire da uno che ha compiuto cinquant'anni che il meglio deve ancora venire». La musica continuava a fischiare nelle orecchie. In una notte d'estate. E lo farà finché ci sarà fiato per cantare il sogno del rock. Fino a stasera. Sotto le stelle di Roma.

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