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Alla scoperta dei classici perduti tra amori risorgimentali e noir

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Facciamoun gioco: scoviamo un bel libro corposo e di antico lignaggio che giace, ormai da troppo tempo, nell'oblio in qualche scaffale della libreria di casa. Prendiamolo, rispolveriamolo e leggiamolo. Io l'ho fatto, ed è stato un «deja vu», un libro letto in età scolastica ma del quale avevo, apparentemente, perso memoria. Rileggerlo (in realtà era come la prima volta) è stata una folgorazione. Si tratta de «Le Confessioni di un italiano» di Ippolito Nievo, una piacevole (ri)scoperta. Del resto, in libreria, esistono diverse edizioni tascabili, come quella dei Grandi Classici Tascabili di Marsilio (sulla copertina non poteva che esserci «Il bacio» di Hayez, 992 pagine, 12 euro). Però è davvero un peccato che del capolavoro di Nievo (composto nel 1858 e uscito postumo nel 1867) non si parli mai, neanche in tempi di rievocazioni dell'Unità d'Italia. A scuola è praticamente ignorato eppure viene (a ragione) annoverato tra i romanzi più belli della letteratura italiana. Ancora più incredibile è che la sua bellissima trama non sia stata ancora «saccheggiata» per qualche film e fiction tv. Oddio, forse è un bene ma avrebbe potuto, perlomeno, avvicinarlo al grande pubblico e spingere qualcuno a leggerlo (come è successo con «I vicerè» di De Roberto, sontuoso capolavoro dell'Ottocento italiano, per tanto tempo ingiustamente dimenticato). Comunque perdersi nelle quasi mille pagine del libro di Nievo è stato un privilegio raro. La trama de Le Confessioni è complessa: il protagonista Carlo Altoviti, ormai ottantenne, ripercorre la propria esistenza dall'infanzia, nel mitico castello di Fratta, fino alla maturità, segnata dalla malattia e dall'esilio londinese. Indimenticabile, tra le tante figure che animano il romanzo, quella palpitante e appassionata della Pisana «unico amore della vita mia» come la descrive Carlino. Sullo sfondo dell'intreccio (ricco di personaggi, una comedie humaine dai tratti cangianti, a volte esilaranti e ironici, altre drammatici e commoventi perché la vita è fatta di salite e discese, di splendori e di miserie), gli echi e le epiche gesta del Risorgimento italiano. Per chi volesse, invece, soffermarsi su qualcosa di meno impegnativo ma singolare, ecco un altro classico, di manifattura anglosassone, ripubblicato quest'anno da Bur Rizzoli (1040 pag. 14 euro). Sto parlando de «I misteri di Udolpho» di Ann Radcliffe, ovvero il primo romanzo gotico della storia della letteratura mondiale. Questo particolare lo rende estremamente cool e moderno anche se «I misteri di Udolpho» uscì nel 1794 (l'anno del Terrore, cioè dell'ascesa e della caduta di Robespierre). Ann Radcliffe, una romantica donna inglese, che sembra uscita da qualche romanzo di Jane Austen è a tutti gli effetti la mamma del genere noir. La trama del suo libro, affascinante per gli amanti del brivido, si svolge in un'atmosfera molto simile a quella che si respira nei videogiochi horror che tanto piacciono ai ragazzini di oggi. Nella Francia del 1584 la giovane e sensibile Emily St. Aubert, rimasta orfana di entrambi i genitori, viene rinchiusa da una zia cattivissima, nel tenebroso castello di Udolpho, sugli Appennini, una vera e propria horror-machine. Solo dopo una serie di avvenimenti agghiaccianti Emily riesce a riacquistare la libertà e a ricongiungersi al suo innamorato, Valancourt. Ideatori di videogiochi, prendete appunti!

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